La raccolta Il grande innocente di Gabriel Del Sarto inizia con un breve testo, quasi un proemio, intitolato Il tempo e la vita, i cui primi versi ci introducono direttamente, senza sotterfugi, nella poetica dell’autore: Quando di nuovo abbiamo parlato di quel giorno / l’acqua mista al sangue – ti ascoltavo / e immaginavo il ferro e l’ossigeno / nelle emoglobine, il destino cambiare – e il dolore / che niente ha cancellato, ho saputo / come la natura si concentri nel tempo / di ciascuno: un’assoluta / ed armonica compossibilità di volti / e sofferenza.
Ci sono, in questi versi, molti degli elementi strutturali che ritroviamo nella scrittura di Del Sarto: la natura, lo scorrere del tempo, il sangue, il ricordo, il dolore, la sofferenza. Il tempo e la vita, appunto.
La raccolta si sviluppa poi in sette sezioni: Porte, Sfere, Gli uffici, Gli occhi di Gabriel, Il grande innocente, I cardini, L’inizio.
Le porte sono queste che non vedo / fin quando non chiudo gli occhi: lo sguardo, l’immagine, il visto e il non visto. Ecco lo scrutinio del tempo: in questo verso di grande impatto e di vivida bellezza c’è il rendiconto del vivere, la vita come eterno esame che tutti siamo chiamati a sostenere. La poesia in questione s’intitola Morire, ma è un’affermazione della vita e sulla vita, sull’essere ora e qui: la nostra ferma appartenenza di campo.
Il poeta osserva il tempo che sta vivendo, indaga nel passato e s’interroga sul futuro.
La narrazione del quotidiano si dipana nella sezione intitolata Sfere e poi ancora ne Gli uffici.
Del Sarto avverte il lettore: Quell’uomo che cammina rasentando gli scaffali dell’ipermercato senza vedere chi, vicino e attorno a lui, vive gli stessi attimi, posso essere io: un venerdì sera d’inverno, col freddo fuori, la lista della spesa dentro un messaggio telegrafico nella memoria del telefono cellulare. Assistiamo quasi a uno sdoppiamento dell’io narrante: il poeta è al tempo stesso protagonista e voce fuori campo, alle prese con le nude meccaniche di una solitudine che accomunano gli esseri umani, figure immobili all’interno di un vagone della metropolitana o in movimento su un campo da basket. Ovunque ci sono linee geometriche a fare da contorno, quasi a delimitare o, peggio, indirizzare e convogliare le vicende umane.
Nel poema Gli uffici il protagonista è un maturo professionista di nome Paterson, che si muove in luoghi asettici, tra marmi bianchi e porte di vetri, pedina fra le tante. L’ufficio è qui il luogo (o il non-luogo, per dirla con un termine oggi assai usato) inteso nei suoi vari significati, come lo stesso Del Sarto suggerisce nell’introduzione al poema.
E se il nome di Paterson richiama alla mente il personaggio dell’omonimo film di Jim Jarmusch, là dove la poesia era uno strumento per uscire dalla mediocrità del quotidiano, sono altri invece i rimandi cinematografici che emergono dalla lettura di questa sezione. Si pensi per esempio al Michelangelo Antonioni de L’eclisse, in cui il vuoto interiore dei protagonisti si fonde con il vuoto dei luoghi che li circondano.
In fondo al linoleum del corridoio la finestra con gli infissi / sporchi e un volto pari al tuo, come in attesa: emerge, dai versi di Del Sarto, l’immobile inutilità dei gesti, la rassegnata fissità di uomini e donne dentro scenari intercambiabili. Ognuno è alla ricerca di qualcosa di non ben definito e anche il poeta registra con puntuale sensibilità questo disagio: quello che tutti noi in fondo conosciamo: / come ci stringe questa attesa. Attesa, come si vede, è parola chiave nella poetica di Del Sarto.
Ne Gli occhi di Gabriel appare la figura dell’angelo, alter ego o controfigura del poeta, che ne porta il medesimo nome. È una sezione breve, nella quale si contrastano speranza e dolore, buio e luce.
Il grande innocente, che dà il titolo all’intera raccolta, è la sezione più corposa del libro: un poema composto da diciassette poesie, precedute da un prologo. È dedicata alla figura del nonno paterno, partigiano, ucciso a 24 anni sui monti delle Alpi Apuane. Scrive Del Sarto nel suo prologo: Mio nonno fu ucciso in un giorno imprecisato del luglio del 1944. Aveva 24 anni e un figlio di poche settimane.
Il poeta ne ricostruisce la vicenda, attraverso i racconti della nonna, interrogandosi sul senso della Resistenza e dei suoi ideali, scrutando da vicino il paesaggio, con occhio sempre attento al rapporto uomo-natura: Guardando quei volti, ormai vecchi, con la minuziosa / fatica della materia che risplende da queste montagne / nelle loro rughe, non ho più rivendicazioni.
I monti fanno da sfondo alla guerra partigiana, le città di oggi nascondono nuove solitudini: è poesia che possiede una solida corporeità, la concretezza del verso rimanda a poeti italiani del Novecento come Nelo Risi.
Ne I cardini lo sguardo si spinge verso il futuro, con i versi che il poeta dedica alla figlia piccola: mi vuoi convincere / che sai leggere, oppure Mi accorgo / che impari a memoria le fiabe.
Sono, in fondo, I cardini di una lingua: una lingua che Del Sarto dimostra di saper padroneggiare con assoluta maestria, calibrando sapientemente forma e contenuto. (Enea Roversi)
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Premio Bologna in Lettere
IV EDIZIONE – 2018
SEZIONE A
Opere edite
Presidente della giuria
Enzo Campi
Giurati
Giusi Montali, Daniele Barbieri
Sonia Caporossi, Enea Roversi, Enzo Campi
FINALISTI
Gabriel Del Sarto
Il grande innocente
(Nino Aragno editore)
Ida Travi
Dora Pal
(Moretti & Vitali)
Alessandra Carnaroli,
Ex-voto (Oèdipus)
Lella De Marchi
Paesaggio con ossa (Arcipelago Itaca)
Paola Silvia Dolci,
I processi di ingrandimento delle immagini
(Oèdipus)
Fabio Orecchini
Per Os
(Sigismundus)
PRIMO CLASSIFICATO
Alessandra Carnaroli, Ex-voto (Oèdipus)
SECONDO CLASSIFICATO
Ida Travi, Dora Pal (Moretti & Vitali)
TERZO CLASSIFICATO
Fabio Orecchini, Per Os (Sigismundus