Premio Bologna in Lettere 2018 – Note critiche – Andrea Donaera su Aleph di Antonio Cretella e Pensile di Domenica Mauri

 

 

Antonio Cretella Aleph (Serpent Kiss Digital)

 

 

Del tutto spalancata (come una A urlata, come un chaos voraginoso), tesa nel ricevere la vita, la poesia di Cretella si muove sul paradosso archetipico della presenza/assenza: della luce nelle cose più spente del mondo; degli atti mancati e perduti; dei morti che permangono.

Il progetto di questa breve raccolta funziona bene, perché i 21 testi si snodano sul tema della perdita della madre, con un soggetto-poeta che non si nasconde – come molta tradizione novecentesca – dietro interposte persone o meccanicizzando in modo apotropaico la funzione egotica della poesia: Cretella pone crudamente (crudelmente, a volte) porzioni notevoli del suo sentire, anche arrischiandosi nel campo vischioso del puro biografismo più sentimentale – uscendone poi quasi sempre molto bene grazie alla costruzione di immagini efficaci, spesso originali e potenti, talvolta sorprendenti.

È necessario segnalare il gustoso utilizzo degli espedienti stilistici tipici della tradizione, affiancati a una poesia liscia e mai macchinosa: metrica, rime rigorose e assonanze da manuale non sconfessano mai la tensione tutta “contemporanea” e discorsiva della raccolta. Non è eccessivo pensare a Cretella come un poeta capace, un autore lucidamente vicino alla lezione (sia stilisticamente che nell’approccio ai temi) di Giudici e Caproni. (Andrea Donaera)

 

 

 

 

Domenica Mauri Pensile (Nino Aragno Editore)

 

 

 

In una lettura di superficie – assolutamente sconsigliata per un’opera densa e gutturale come Pensile – parrebbe di trovarsi davanti a un tentativo di riproduzione di una poesia idilliaca, un po’ banalmente nutrita dall’estetica del mondo naturale che circonda, altrettanto banalmente, l’occhio sensibile del poeta. Ma sin dai primi componimenti ci si rende conto che non è così, che qualcosa di quasi perturbante aleggia – tra il minuzioso vocabolario che inquadra (di scatto, come per un montaggio grezzo e tutt’altro che sinuoso, ma ben camuffato) una «viola tremolante dell’opunzia» o «i rami del pioppo alto». Il senso che qualcosa stia inquietando la natura messa in mostra dall’autrice è dato – magistralmente, tanto che questo tratto eclatante e peculiare dell’opera appare non da subito, ma gradualmente, come fuoriuscisse da un folto di piante – dalle chiuse di ogni componimento. Il senso di piacevole accumulo della natura – come in una territorialità bacchiniana – viene puntualmente scosso (sconvolto) da versi che appaiono come una sigaretta accesa nel mezzo di un giardino: forse piacevoli, ma forse, anche, fuori luogo. E dunque bisogna ricominciare la lettura. E dunque si comincia a comprendere il processo simbiotico ed esistenziale che Mauri pone come misura fissa del suo scrivere. La natura è fatto intimo, appartiene all’occhio di chi guarda – ed è allestita in giardini, in cortili: in piccoli quadri d’azione. E dall’intimo di quel guardare si scivola in versi conclusivi che schiacciano il lettore come spesso accade con un’altra eccellente contemporanea, Laura Pugno: «L’azzurro-grigio fermo / e immobile poteva essere tutto. / Il pensiero di qualcosa / di qualcuno»; «Ma prima / – prima della completa rasatura – / le foglie avrebbero avuto l’onere / di dare avvio al mattino. / Subito dopo il risveglio e nell’attesa / di conoscere i comunicati del giorno / raccoglierle per qualcuno sarebbe stata la prova/ dell’esistenza in vita».

Le piante, che muoiono per cause ignote; il finto gelsomino che va lasciato alla sua resistenza; l’attesa, che fa diventare adulti, dell’agave che germoglierà. È un «allestimento della fioritura» che dispone, in adiacenza semantica e linguistica, un accumulo di esperienze emotive, le quali, traslate dall’oggetto cantato al soggetto cantante, danno una nuova misura della complessità dell’esistenza. Ed ecco dunque un’opera poetica che scambia, con la pazienza del giardiniere, la natura di fuori con la natura di-dentro, in una fotosintesi concettuale straordinariamente riuscita.  (Andrea Donaera)