Andrea Patrizi – Domenica sera
I tre testi segnalati dalla giuria e proposti alla lettura da Andrea Patrizi ci offrono la conoscenza di un poeta che usa intenzionalmente le “parole piccole” della vita quotidiana per raccontare con ironia e distacco, ma anche con sottile malinconia, la condizione esistenziale di un moderno antieroe, piegato tra “un appunto / al lavoro di domani” e la sorridente sapienza dell’essere e accettare oggi quel che si è, contenti di sé: “ho avuto quasi la vita che volevo”.
In quel “quasi” si apre il mondo, il “quasi” è la frattura, come scriveva Cohen, da cui filtra la luce che illumina le infinite possibilità della poesia e della scrittura. Così vola il racconto, dall’esperienza dei quattrocento metri della poesia “La ripetuta”: “Quattrocento metri in falsopiano/ e la fatica gela/ in un fiato di brina”, a un ricordo d’infanzia impaginato all’interni della poesia “Temporale” : “Nella premura del temporale/ aspettavi mezzogiorno/ sui gradini della scuola elementare”.
La modalità di racconto del poeta è data dal tocco sapiente dei particolari: “Una tovaglia a righe, un piatto blu/ i resti della cena” della poesia “Domenica sera”, al “mangiavo pane burro e sale” del ricordo d’infanzia, che conclude in sottotono il testo. Perché è il tono minore, sussurrato, la cifra prediletta dalla scrittura di Patrizi, che ai toni roboanti oppone un intimismo asciutto, breve, la cifra della sobrietà cara a molta poesia contemporanea italiana, che ha saputo raccogliere. (Loredana Magazzeni)
Simona Nobili – poesia#5
Nella poesia di Simona Nobili le parole diventano armi, sassi, forbici, cesoie con cui fronteggiare il reale. È sorprendente, infatti, la sua capacità di cogliere con immagini vivide e metaforiche l’essenza di un attimo vivente, l’esperienza materiale e concreta di un incontro, come quello con il pensiero dell’altro: “non voglio che un tuo pensiero mi trattenga per l’orlo della gonna”.
La poetessa sembra esercitare nei suoi versi l’arte della sprezzatura, per affrontare e superare crisi e lacerazioni.
Nel testo presentato c’è un tu a intessere il dialogo, dispiegato all’insegna della lontananza e del disamore, dopo un amore che si percepisce divorante, che ormai più non lo è.
Una particolare scelta effettuata allora è quella di dire il conflitto arrotando come armi le parole, che si fanno coltello, cesoia e scudo a ripararla dal dolore e dalla tentazione di ritornare di nuovo a impigliarsi nelle parole dell’altro, cui resta agganciata “come un amo alla mia bocca”.
La capacità della poesia di mitigare il dolore e di affinare le armi della parola è un dono che si offre a tutti noi, se sappiamo attraversarla creando fratture, snodi, tagli e frizioni per trovare la nostra personale visione del presente e dire la lotta ingaggiata per modificarlo. (Loredana Magazzeni)