C’è una novità, decisiva, nel modo (ormai solido) di fare poesia di Frolloni: la coniugazione di due esperienze (a loro modo sia biografiche che letterarie) che, in un’alchimia testuale immediatamente godibilissima, creano forse una nuova idea di scrittura in versi. La poesia nordamericana, fatta in superficie di riflessioni profondissime e narrazioni mai realmente ombelicali; la tradizione novecentesca post-ermetica, in cui l’indagine solipsistica sui grandi temi lirici e intrecciati di amore e morte si fa qualcosa di più profondo, qualcosa di più autentico, nervoso, viscerale, finalmente spiazzante. Tra i poeti nati negli anni Novanta, Frolloni emerge senza dubbio per l’altissimo grado di consapevolezza nella gestione del testo e per il gusto nel dare luce a un pathos magmatico che incalza, costante, nel suo scrivere. (Andrea Donaera)
Quella di De Simone è una poesia mai di ricerca, ma della ricerca – l’autore si immerge nel fitto di un vissuto come quello di tanti e prova a rintracciare: la precaria serenità del vivere piccolo-borghese di quasi ogni giovane adulto; l’amore che si manifesta traumatico come un Godot inatteso; la noia moraviana di non riuscire ad avere reale contezza di ciò che è attorno, annebbiati dal caos dei casi, dalle tormente di un’intera generazione fiaccata e ammutolita. C’è tutto questo addensamento emotivo a fare da motore ai versi di questo professore che utilizza proprio le sue competenze di studioso per montare un poetare old-fashioned, tutto immerso nel Novecento: ed è un travestimento; se si togliessero gli esercizi metrici e le rime graziose, scopriremmo un baratro epistemico ed esistenziale nel quale non si smetterebbe di precipitare. Dunque risulta necessaria, in una poetica tanto tormentosa, l’adiacenza con Gozzano, con Cardarelli, con certo Montale. Leggerezza e abisso convivono, come sud ozioso e nord operativo, nella voce di De Simone – autore singolare e consapevole: cosa mai poco rara. (Andrea Donaera)
Da inserire assolutamente tra le migliori voci poetiche under 40, Meozzi è autore dotato di uno stile riconoscibile, liscio nella sintassi ma complesso negli esiti, fatto di richiami (formali o intertestuali) alla grande e problematica scacchiera della letteratura novecentesca. Protagoniste sono le perdite, tanto violente (seppur declinate in tonalità delicate) che lasciano ferite: feritoie dalle quali filtrano le poesie di questo autore, che in ogni testo si getta in una ricerca popolata e assediata da ombre, quesiti e rigurgiti memoriali che inacidiscono il presente. In tutto questo, Meozzi (sia nei testi brevi e incisivi che in quelli più lunghi e quasi poematici) rimane in equilibrio su un’idea di poesia lucida, mai abbandonata, sempre tenuta sotto il controllo – concretamente sublimante – della parola, del linguaggio: del verso come tentativo di trovare un’identità. (Andrea Donaera)