Con la raccolta Il vogatore Silvia Comoglio vinse nel 2015 il Premio Lorenzo Montano nella sezione Raccolta inedita. È un testo di grande fascino, in cui la scrittura è soffusa di un lirismo moderno, perfettamente costruito e mai banale. Colpisce, nella poesia di Comoglio, la capacità di unire il verso evocativo all’immagine spiazzante, di affiancare la purezza della parola all’invenzione linguistica. Coabitano, nella sua scrittura, l’infinita striscia di demoni volanti e il cuore, assolto a fior di labbra e si potrebbero scegliere molti altri esempi. Chi è dunque il vogatore al centro di questa raccolta? Verso quali terre naviga? È un essere in carne e ossa o è soltanto un’astrazione? Comoglio non lo dichiara esplicitamente, ma quel verso che recita epica che voga potrebbe essere rivelatore (in tutto o in parte) dell’identità del vogatore: è il pensiero in movimento, la poetica alla perenne ricerca di forma e senso, come chi naviga è alla ricerca di una terra da raggiungere. Altro testo significativo di Silvia Comoglio è la breve silloge Via Crucis, in cui il calvario di Gesù Cristo viene raccontato, quasi fotografato da vicino, attraverso le varie stazioni. Nei testi il dolore per la morte, la speranza nella fede e la gioia della resurrezione sono descritti in maniera toccante. Nelle poesie di Via Crucis sono presenti trattini, linee, puntini di sospensione: accompagnano le parole non in modo ornamentale, ma ne sono parte integrante, come segni rafforzativi o segnali di indicazione. La ricerca letteraria di Comoglio non è mai ferma: si spinge (per usare un verso contenuto in Quindicesima Stazione – Gesù è risorto) fino all’orizzonte, al lembo ultimo del cielo. (Enea Roversi)
Dire Ranieri Teti significa dire Anterem, di cui è uno degli storici redattori, nonché colonna portante del Premio Lorenzo Montano. Uso com’è da decenni a leggere gli altri poeti, ad ascoltarli, ad analizzare le loro scritture, il Ranieri Teti poeta è rimasto sempre una figura appartata, schiva, refrattaria al mostrarsi. Ecco dunque che l’occasione offerta da Bologna in Lettere di poterlo ascoltare è a mio avviso quanto mai preziosa. È l’occasione di poter entrare nella sua poesia: nelle atmosfere fatte di chiaroscuri, di luce e buio (Entrata nel nero è, non a caso, il titolo di una sua raccolta), di spazi attraversati e da attraversare, di silenzi che hanno la consistenza del rumore. Teti con i suoi versi misura le distanze, scandaglia le profondità, annota arrivi e partenze, certifica lo smarrimento dell’essere umano. È quindi assiomatico che parole come esilio, naufragio, precipizio, incognita trovino nelle sue poesie il loro habitat naturale. Nel testo Lontano, non dolce (testo in forma di poesia che si tramuta in prosa) Teti scrive: un passo di libro a prima vista / alla fine di un libro un istmo / a un passo dalla fine l’apertura / due indici nell’eredità del giorno. Mentre in un testo di Entrata nel nero leggiamo: passaggi attraverso tenebre e altro tempo / sospinto verso la moltitudine di un giorno / inciso in questo passarsi accanto in questo / nient’altro che baratro offerto a chi è deserto / è sabbia anche la bocca che divora la voce. È poesia della distanza che diventa incolmabile, dello spazio delimitato che sconfina nell’irrisolto, del tempo che non teme unità di misura: si cercano approdi, si tentano suture, ma la partita sarà dura da vincere. Ranieri Teti ce lo ricorda, sembra ammonirci con le sue parole severe, implacabili: non distogliete lo sguardo, non perdete di vista nulla, prima che sia troppo tardi. (Enea Roversi)