Bologna in Lettere 2019 – Appunti, letture, note – Rossella Renzi / Veronica Tinnirello

È un discorso a tre quello di Rossella Renzi nei testi che ci ha portato oggi dal suo ultimo lavoro Dare il nome alle cose uscito nel 2018 per Minerva. Anzi è un discorso a quattro se consideriamo l’occhio dell’autrice parte integrante di questo dialogo circolare. Gli altri protagonisti sono la natura, l’umanità ed il divino non come generico afflato verso qualcosa di intangibile e generante, ma come senso di riferimento ad un’entità superiore.

 

La natura che troviamo nei testi di Rossella è una natura presente con una fisicità animale e terrena, è la natura delle “gatte selvatiche”, “dell’uccello con la coda variopinta”, ma anche di entità fantastiche come “gli esseri acquatici”, come  “le bestie marine”.

 

L’umanità partecipa invece con un fare simbolico quando diventa “la bambina nera che balla sulla spiaggia” o “la donna bianca ed elegante” o “l’amante che ti accarezza la pelle attraverso il buco della calza”.

 

A queste due realtà materiali fa sempre da contraltare un divino come presenza precisa nello spazio e nel tempo, un faro a cui la realtà mira sempre, con quei suoi “tanti occhi rivolti al cielo”.

 

In questi suoi testi l’autrice sembra vivere in questo mondo a suo dispetto, come se questa umanità fosse un necessario pericolo da abitare con cautela, un po’ in punta di piedi e un po’ da osservare e basta, quasi non fosse possibile realmente comprendersi. Ma il mondo va vissuto e va abitato ed osservarlo è già viverlo anche se si preferirebbe, probabilmente, essere altrove.

 

“Odio ogni cosa che abita questo giorno

La luce che si copre, la fine di settembre

Odio il mio essere un essere che sente.”

(Alessandro Brusa)

 

 

 

È molto forte, leggendo questi testi di Veronica Tinnirello, l’impressione di trovarsi a teatro o ancora meglio in un cinema. Dico un cinema perché la frammentazione con la quale il filo narrativo scioglie e scompone la storia è quella propria dei fotogrammi che si susseguono a mettere insieme il tempo.

 

C’è un salto notevole nella forma e nei tempi tra questi testi di Veronica e quelli di qualche anno fa, penso in particolare a quelli del suo esordio Polaroid Stile Impero perchè i testi che qualche anno dopo pubblicammo su Centrale di Transito facevano già vedere molto di quanto oggi Veronica è venuta a regalarci.

 

Se nel caso di Polaroid stile impero era l’immagine, la polaroid appunto, a essere fatta a pezzi, a essere analizzata studiata, annusata anche, qui il salto è quello della distanza, quello di chi, dopo aver analizzato il mondo al microscopio, decide di accoglierlo così com’è, nel suo essere sequenza di fatti cui non si oppone giudizio, ma solamente l’onore dell’espressione. Il tutto in silenzio, come se il film che stiamo osservando fosse effettivamente un film muto, anche perché non c’è necessità di parole contro la realtà della vita. (Alessandro Brusa)