Bologna in Lettere 2019 – Appunti, letture, note – Tosetti / Rizzuto / Celeste

Wunderkammer: un titolo che basta da solo a suscitare curiosità nel lettore. Questa  raccolta, pubblicata da Carlo Tosetti nel 2016 con l’editore Pietre Vive, colpisce per la ricchezza del linguaggio poetico: una ricchezza costruita in maniera naturale e mai inutilmente ostentata. Nel testo intitolato Un collezionista, Tosetti scrive:Di che sostanza siano i ricordi, dove siano collocati (la memoria è dentro di noi? fuori di noi?), se siano risultato di mirabili assetti chimici o genericamente «energetici», tutto ciò è sconosciuto. Certo è che i ricordi, durante lo svolgersi delle nostre esistenze, ci contrassegnano e ci pla­smano.”  Così, attraverso la chiave dei ricordi, Tosetti ci fa entrare nella sua camera delle meraviglie, ci fa conoscere la sua personale collezione di naturalia e di mirabilia: troviamo luoghi, animali, piante, oggetti, ma anche rumori, odori, sensazioni , in una catalogazione in versi di grande impatto e suggestione. Se i collezionisti dei secoli scorsi riempivano dei più disparati oggetti le loro stanze delle meraviglie, Tosetti colma i suoi versi di immagini e dei sentimenti che tali immagini suscitano. Non c’è alcuna ridondanza, però, né alcun bulimico o pretenzioso lirismo: le parole sono dosate con sapiente accortezza. A guidarlo è la passione, come Tosetti stesso scrive: Mai vivrei d’una passione slavata, / sicché m’incrosto – solo – / nell’esistenza appassionata. La poesia da cui sono tratti questi versi s’intitola per l’appunto Passione e vi viene citato Goffredo Parise: colui che, guarda caso, fu nei suoi Sillabari un mirabile catalogatore di sentimenti. (Enea Roversi)

 

 

 

 

 

Rizzuto propone una scrittura leggera ma intensa, grumosa e calda, adiacente all’immaginario mediterraneo e al contempo urbano che alimenta lo sfondo di una poetica aperta, capace di accogliere elementi stilistici del Novecento e cadenze nuove, personali. L’espediente dell’accadimento (biografico, famigliare, quotidiano) è, per lei, estremamente efficace, perché permette a questa poesia un dilatarsi tematico che si fa plurale, universale, palpitante – con, inoltre, una struttura sempre ordinata e calibrata, che lascia intendere una precoce maturità letteraria veramente rara. (Andrea Donaera)

 

 

 

Era un corpo che si faceva penetrare quello protagonista degli ultimi lavori di Clery Celeste, un corpo che portava su di sé, in emersione, la fatiche e le sofferenze di un’interiorità malata. La traccia della nostra sofferenza non necessitava di altro se non l’occhio attento del “care giver”, di una donna che in altre epoche avrebbero bruciato sul rogo. Tutt’altra cosa è invece il corpo presente in questi testi, un corpo superficie-che-resiste e che con l’invasione dall’esterno o meglio, con la resistenza che riesce ad opporvi misura la propria debolezza verso la storia e la sua instancabile resilienza.

 

“ci siamo tenuti dentro il legno marcio

le termiti andavano dove volevano”

 

Siamo tutti protagonisti in questi testi: a volte spettatori necessari dell’infinito dialogo tra l’io poetico ed il mondo, a volte chiamati solo a fare numero, altre volte invece alleati nostro malgrado, chiamati in causa per riconoscere i termini del confronto. Il mondo, il co-protagonista di questi testi, non è un alleato, ma un padre assente ed è nella sua ricerca che troviamo i nostri nemici, che troviamo gli elementi di crescita e confronto:

 

“Ho dato la colpa a un giorno preciso

come un incidente che ti sfianca

invece era quello che sono sempre stata

nelle catacombe delle viscere.

Il rifiuto, la perdita, il giudizio.”

 

La storia della protagonista è la storia di un essere umano che cresce a dispetto, che vive a dispetto, che non vive dentro di sé, ma nello spazio che lo accoglie, interiorizzandolo. Viviamo quindi la casa che ci ospita come un corpo che altro non è che un edificio ove dare residenza alla nostra identità più profonda. Ed allora i balconi, le finestre, le porte, le stanze diventano luoghi da difendere e da presidiare se non vogliamo perdere anche l’anima. (Alessandro Brusa)