Premio Bologna in Lettere 2019
Sezione C (Poesie singole inedite)
Giulio Maffii
Finalista
Una piccola sequenza urbana, una contemporanea “terra desolata” da cui il poeta non si chiama fuori ma sceglie di iniziare il componimento con uno sguardo rivolto verso di sé da parte di un generico “tu” che potrebbe coincidere con la sua coscienza. Fuori da un supermercato l’uomo comune dà libera espressione alla moderna banalità del male nel desiderare la morte di un altro essere umano (da “bruciare”, come nei forni nazisti di un tempo non troppo lontano da questo), un essere umano colpevole solo di non essere vestito come si conviene, come recita il motto latino medievale, o forse di chiedere un’elemosina che i benpensanti riservano alla chiesa nel giorno in cui si segnano in nome di un messaggio travisato. È un’umanità solitaria e gelida come l’inverno, quella che procede sulle strade del ritorno a casa, formando file silenziose di auto, come snaturate processioni di persone incapaci di creare contatti con gli altri così come con sé stesse. Pur avendo raggiunto lo spazio (un brusco salto spaziotemporale ci offre uno scorcio suggestivo relativo a una missione spaziale, forse quella dell’Apollo 13), siamo rimasti più vicini agli “acari che alle stelle” e ancora ci muoviamo in una terra inospitale che è il nostro inferno quotidiano, ognuno dietro la sua maschera. Termini come “gelo”, “silenzio”, “vuoto”, “freddo” instaurano un parallelismo tra l’esterno (le strade nella stagione invernale) e l’interno (non solo le case ma anche la nostra interiorità) fotografando impietosamente un graduale svuotamento della coscienza. Ci attende una lenta consunzione, una discesa nel gorgo di pavesiana memoria, e i versi si chiudono circolarmente con una morte per raffreddamento interno che si ricollega, per opposizione, alla morte per ustione prefigurata all’inizio. In questa poesia fortemente visiva, si potrebbe dire cinematografica, l’autore effettua il montaggio di una serie di scene con una tecnica che ricorda quella del cut-up, procedendo per giustapposizione e affiancando situazioni quotidiane ad accadimenti storici più o meno recenti con bruschi cambi di inquadratura (le crociate, il viaggio nello spazio) in attrito con lo scenario principale. Analogamente, sul piano formale una lingua apparentemente piana e descrittiva si apre al plurilinguismo (con l’incursione del latino del motto medievale), a metafore enigmatiche (la trasfusione di santi, la pioggia di sicari) e a un’accurata tessitura ritmica densa di figure come l’anafora (posti uno di seguito all’altro, i due distici i cui versi iniziano rispettivamente con “c’è fila” e “nessuno” creano un cortocircuito semantico), nonché rime baciate (veste / honeste; santi / avanti; ignoto / vuoto;) e quasi-rime (assonanze quali mano / supermercato / altro; corpo / volto; luna / salutano; e consonanze come astinenza-distanza). La versificazione procede lenta, come sospesa nell’attesa, modulandosi sulle pause di respiro, coincidenti le pause logiche che anticipano l’affacciarsi del retro-pensiero, in genere isolato dall’utilizzo delle parentesi. (Francesca Del Moro)