Premio Bologna in Lettere 2019
Sezione B (Raccolte inedite)
Rosa Riggio, Prove di resistenza
Finalista
È sempre arduo affrontare una scrittura poetica dandone la giusta valenza. Solo un poeta, infatti, conosce il proprio mistero racchiuso nei momenti di un tempo efferato e orizzontale. “Prove di resistenza” è una silloge suddivisa in cinque sezioni i cui versi vanno centellinati, “degustati”, ripresi più volte, dove le parole si confondono, nascondono, riprendono fiato per poter poi essere affannosamente riportate alla luce nel caotico ordine delle cose. La Riggio scrive, così, una complessa partitura musicale, ogni singola misura/battuta significa “Il tempo delle cose vuote” dove “la notte e il giorno mancano all’appello.” Il tempo musicale è un tempo a volte pari a volte dispari, frazioni di numeri primi, ottavi, sedicesimi che accelerano sempre più perché “Siamo respinti lontano nel tempo fermo, bianco e manca il tempo allo spazio vuoto”. Le pause sono attimi di riflessione “elastica”, distanze che fa il tempo quando si compie. Alla fine il tempo è ogni momento, così la nota suonata, incerta e paurosa di “farsi sentire” è “una stanza senza pareti/è l’ora d’aria intorno ad un secco muro/camminare senz’ombra/voltarsi e non vedere nulla.”. L’autrice scandaglia e si interroga con coraggio sul disegno inconscio nel disordine dell’io in rapporto al già scritto dove “tutto è insufficiente, anche le parole che stanno spaesate, come arrese. Scriveva Montale:” Non c’è un unico tempo: ci sono molti nastri che, paralleli, slittano spesso in senso contrario e raramente s’intersecano.” Ecco, l’opera della Riggio mi ha riportato a questi nastri paralleli come una partitura sovrapposta con più voci strumentali dove la poetessa non riconosce “questo tempo/nemmeno il successivo/Il mio tempo è quello della luna/quando si svela…”. L’ordine della natura/fisica pare riportare serenità, una serenità temporanea, breve, “Due particelle anche separate, sanno l’una dell’altra.” e “L’amore vaga cercando un puntino riverso nell’iride che di morire non ne vuole sapere.” L’autrice si ritaglia un proprio habitat: “Fuori dalle parole è olocausto.” Alla fine quasi con una rassegnata e intima verità: “Saremo dentro gli sguardi altrui. /sarà breve, sarà per sempre”
Ci viene così rappresentato il mondo della realtà fenomenica che comprende la natura, le cose e la storia in cui esse stesse risultano inserite, nel quale è quasi impossibile individuare uno spiraglio della verità da cui poter derivare risposte definitive a quei quesiti che l’uomo quotidianamente si pone. Alla realtà fenomenica si contrappone poi una realtà metafisica che fa riferimento al destino ultimo dell’uomo che sarà da compiersi in un ulteriore dimensione che lo trascende. Il verbo non può aspirare a raggiungere direttamente l’assoluto/tempo in quanto esso deve prima confrontarsi con il reale che però costituisce una barriera nel quale resta inevitabilmente impigliato. Ciò, tuttavia risulta l’unica speranza di accedere al mistero dell’esistenza e ricordando l’esergo di Paul Celan all’inizio della raccolta “una parola, con tutto il suo verde, rientra in se stessa, si trapianta, tu seguila.” (Marco Saya)