Premio Bologna in Lettere 2020 – Nota critica di Giusi Montali a Giorgia Romagnoli

Giorgia Romagnoli, La formazione delle immagini (Arcipelago Itaca)

Sezione A – Opere edite – Terzo classificato ex aequo

 

 

Come avviene il processo di formazione delle immagini? E che cosa nasconde? Queste le domande che già da subito ci pone l’autrice. Già, perché noi siamo convinti che ciò che vediamo sia esattamente la realtà, ma non è così: per lo più infatti viviamo in una realtà immaginata. Ora la vista è quel senso che richiede un certo periodo di tempo perché le informazioni sensibili giungano al cervello dove sono rielaborate e assemblate per fornirci infine una mappa della realtà nella quale ci muoviamo o siamo immersi. E il cervello, dovendo fornirci in un tempo ben più rapido tali informazioni rispetto alla velocità di entrata dei dati afferenti, riempie il vuoto informativo con delle previsioni e delle ipotesi che verranno poi corrette una volta che il dato giungerà a destinazione [“paragonando la visione (prima/dopo) | l’intervallo somma spazio e tempo – | segna il percorso”].  Tale meccanismo è definito interpolazione percettiva e ne consegue che la visione del reale della quale disponiamo è sempre in qualche modo falsata ma attendibile. La raccolta di Giorgia Romagnoli  parte da simili constatazioni (“estranea percezione […] che non | si può tornare – a vedere || solo immaginare”) per applicarle al movimento nello spazio e nel tempo di un soggetto – inteso in senso universale e non come individuo particolare.          
Dal momento che la vista è il senso che ricopre un ruolo maggiore, se non fondamentale, nell’esplorazione dello spazio attorno a noi, è attraverso di esso che realizziamo una mappa del reale che è un modello  (ovvero una semplificazione e una riduzione)  che ci permette di gestire ed entrare in relazione con il reale (“il gioco dell’oca | una semplificazione”; “visione da un aereo / da un albero”). Ma non è solo attraverso la vista che costruiamo mappe del reale: l’udito e l’olfatto danno infatti origine alle rispettive mappe sonore e olfattive che hanno la funzione di orientarci all’interno del nostro labirintico vissuto, perché si può viaggiare anche all’interno di sé, e i due sensi   sono in grado di riesumare ricordi sopiti in noi (“associazione di | suoni o odori | a ricordi”). Il movimento non è dunque solo esteriore ma anche interiore e quando si verifica all’interno coinvolge prevalentemente il tempo e si lega quindi alla memoria e ai ricordi (ma così come il movimento nello spazio coinvolge anche la temporalità, il movimento nel tempo è anche un movimento nello spazio): “pensa ai luoghi in cui hai vissuto | non dimenticarli | trova nell’imprecisione l’unica possibilità”.             
Le mappe infine ci permettono di affrontare con più serenità l’ignoto nonostante esse possano contenere indicazioni erronee, inutili o manomesse, ma in fondo ciò che temiamo è anche quello che desideriamo: “perdersi ancòra || perdersi oltre”. È nello smarrimento infatti che è possibile la crescita che poi è rivelazione che non esistono frontiere, o meglio ogni frontiera oltrepassata ne rivela subito un’altra (“una frontiera che sembrava di aver oltrepassato | ma proseguendo sorgono altri | muri”) e che il nostro rapporto con lo spazio e il tempo non può essere dato per assodato (“il rapporto dell’essere umano con lo spazio non è statico ma in continua modificazione”).               
Nell’ultima sezione della raccolta – Arianna – tutte le riflessioni precedenti si assommano nell’archetipo del labirinto (spazio/tempo nel quale perdersi, ritrovarsi, uscire). Viene inoltre fornita un’analogia del labirinto con la struttura dell’orecchio interno che ha  però la peculiarità – a meno di non incorrere in traumi – di non generare alcuna perdita del suono che, al contrario dell’individuo immerso nel labirinto, sa sempre quale percorso seguire come se fosse dotato di una dettagliatissima ed esatta mappa del labirinto/orecchio (“Anche l’orecchio interno ha una forma simile, eppure il suono non ci si perde. Sa esattamente quale strada seguire. Gira in tondo attraverso scale e svolte obbligate”). Ecco, questa descrizione del suono che si muove all’interno dell’orecchio interno rimanda al contempo al gioco dell’oca e a snakes and ladders che esplicitano nella raccolta l’elemento aleatorio, fondamentale nel processo di conoscenza oltre che di esistenza. Per l’esattezza tale metafora ritorna intervallata più volte nella raccolta, anche se è chiaramente presentata solo nell’ultima sezione. L’aleatorietà permette inoltre di sancire ulteriormente l’incredibile analogia tra movimento esterno e movimento interiore come se ogni essere umano stesse percorrendo il proprio personale labirinto nel quale a ogni movimento esteriore nello spazio/tempo corrisponde un movimento interno nel labirinto mentale (“entri nel varco e compi il viaggio […] | che non – | esiste limite – | in profondità. || un buco nero”). E così si giunge a dire che ognuno è solo nell’affrontare il proprio labirinto del quale si possiedono soltanto mappe provvisorie, semplificate ed erronee perché solo una visione dall’alto (che è come dire anche dall’esterno) potrebbe garantire la certezza di sapersi orientare all’interno del proprio labirinto: “La solitudine è un labirinto, un buco nero”.

Dopo una lettura attenta e approfondita della raccolta di Giorgia Romagnoli – che ha il dono di equilibrarsi tra interno ed esterno, tra spazio e tempo, tra dimensione universale e personale, donando al lettore testi rigorosi ma non asettici – mi sento di affermare che l’autrice sarà in grado di coltivare ulteriormente la sua scrittura e portarla a esiti rilevanti. (Giusi Montali)