Laura Cingolani, Mangio alberi e altre poesie (Edizioni Il Verri)
Sezione A – Opere edite – Secondo classificato
Stratificazioni, sovrapposizioni, scorrimenti: pensiero e azione nella poesia di Laura Cingolani.
La prima sensazione che ho provato leggendo Mangio alberi e altre poesie è stata quella di trovarmi di fronte a un libro scritto a mano, anzi: a un autentico manufatto.
Laura Cingolani, in questa sua raccolta, sorprende il lettore in quanto mette in discussione l’idea di scrittura, del fare scrittura, intesa dapprima come pensiero e poi come azione.
Sorprende ancor di più, poi, considerando che questa è l’opera prima di Cingolani che pure, occorre dirlo, non è un’esordiente che sbuca dal nulla, ma ha alle spalle un percorso di ricerca e di esplorazione su poesia lineare, sonora, performativa, visiva, elettronica, come indicano le succinte note biografiche riportate sulla quarta di copertina.
Ma, a prescindere dalla storia personale dell’artista, aprendo il libro e sfogliandone le pagine l’effetto scuote, il colpo è già assestato, la sorpresa ha provocato una reazione deflagrante.
Cingolani, si diceva, mette in discussione l’idea di scrittura e lo fa usando un oggetto che per banale gusto della classificazione potremmo definire vintage: la macchina da scrivere Olivetti Lettera 22, che compie 70 anni proprio in questo travagliato 2020.
Si tratta di un oggetto che è diventato un simbolo, che ha rappresentato per tanti (e per tanto tempo) lo strumento di lavoro quotidiano, uno strumento efficace e insostituibile, pur con i suoi limiti: mancavano infatti, sulla tastiera, i tasti del numero 1, dello zero e delle vocali accentate.
Cingolani prende dunque questo mezzo, lo fa proprio, lo usa come grimaldello per scardinare la scrittura poetica tradizionale: non assistiamo qui al semplice andare a capo, ma a segni che percorrono la pagina e si rincorrono lungo la pagina, su molteplici piani e in varie direzioni.
Sono segni a volte appena accennati, quasi impercettibili, flebili respiri che affiorano di lato (si veda alle pagine 29, 43 e 93), mentre altre volte sono segni marcati e marcanti come graffiti su di un muro (per esempio le pagine 67, 70, 72, 77 e 79).
I margini del foglio scompaiono come punto di riferimento: la scrittura s’inoltra a esplorare nuovi luoghi, si perde e si ritrova oltre il limite della carta, il segno esce dai confini ormai non più delimitati, ma ridotti a puro concetto teorico.
Questa operazione di Cingolani fa pensare a quegli artisti che hanno infranto i limiti del quadro, uscendo dalla superficie pittorica, come Lucio Fontana quando incideva o tagliava la tela oppure Mario Schifano quando faceva colare la pittura sulla cornice, per non parlare di Alberto Burri, di Robert Rauschenberg o anche degli esponenti dell’action painting.
Non è un caso che, parlando della poetica di Laura Cingolani, si citi la pittura: poesia e immagine si fondono nella sua scrittura, il segno si fa sovente disegno, la parola diventa elemento grafico. Cingolani realizza, tra l’altro, veri e propri calligrammi, sulla scia di grandi esempi del passato, come Guillaume Apollinaire, di sicuro il più celebre fra tutti, ma ci sono rimandi altrettanto importanti alla poesia visiva, ad artisti quali Emilio Isgrò con le sue cancellature e aleggiano altresì le presenze importanti e carismatiche di nomi fondamentali della poesia italiana quali Emilio Villa, Patrizia Vicinelli e Amelia Rosselli.
Prendono dunque vita, nelle pagine di Mangio alberi e altre poesie, volti umani e figure di animali, a comporre una galleria poetico-pittorico-antropomorfica di singolare suggestione.
Sono animali non sempre di facile identificazione e catalogazione. Per esempio a pagina 85, a corredo delle figure della pagina precedente, Cingolani scrive: topi e cani di gatto e, qualche verso più sotto, gatti e cani di ratto.
Sono figure stranianti ed estranee in un mondo che è esso stesso straniante: una società che non regala nulla e dove anzi si paga tutto: versi quali Pago il mondo a / rate, rate come / schifo a Roma, schifo / come la mia password oppure Marketing nemico mio / peggiore evidenziano una rabbia non sopita, che viene alla luce e si manifesta senza scendere a compromessi.
Altrove sono le emozioni e i sentimenti a essere sondati: Sono cieca di te / vedi, ho un sole / negli occhi e sono / cieca oppure Tu me l’hai dato / con il mal di testa / l’alone dannato / di questa tempesta o ancora Sei sempre alla ricerca onde sei / fragile, tenue, scossa, sono versi in cui si fondono animo, mente ed elemento naturale.
Sono presenti anche riferimenti, in forma di omaggio o di citazione, a grandi poeti, come nel testo dedicato a Leopardi: Giacomo, io sono figlia tua e tu sei / figlio mio, colli dell’ / infinito sono parenti o il finale della poesia intitolata Nel giorno tuo polare che recita va’, va’ dove ti porta / Antonio Porta, vieni / pure qua.
Cingolani sollecita e solletica continuamente il lettore, lo smuove e lo mette alla prova, ne vellica le facoltà sensoriali.
La scrittura procede su vari livelli per stratificazioni, sovrapposizioni, scorrimenti: è materica e fluida, si muove su linee parallele e su disallineamenti, secondo schemi precisi o per organico disordine.
Manufatto, si è detto, ma potremmo parlare anche di arte-fatto: Mangio alberi e altre poesie (uscito nel 2019 per Edizioni del Verri, nella Collana Rossa diretta da Milli Graffi) è un oggetto d’arte in forma di poesia o, ribaltando la definizione, un libro di poesia in forma di oggetto, una prova di bravura che non è puro virtuosismo, ma poesia vera, che si mostra e mostra le sue varie facce.
Giocando sulle parole e sulla visualità di quest’opera, mi piacerebbe definirla come poesia allo stato impuro.
Per finire, due aggettivi due per descrivere questo libro: affascinante e stimolante. (Enea Roversi)
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