Premio Bologna in Lettere 2020
Sezione C (poesie singole inedite)
Giulio Maffii, Controvocazioni – Terzo classificato
«Tutto il secreto per aiutare la memoria si riduce a materializzare le cose o le idee quanto più si possa» scrive Leopardi in un passo dello Zibaldone. Nei lavori presentati da Giulio Maffii questo segreto si consuma nella materializzazione, più ancora che delle cose, del loro doppio linguistico: «non… croci o chiodi ma referti [codici». E d’altronde la volontà di esercitare un atto di ingiunzione fática è manifestata fin dal primo titolo, “Controvocazione”, termine che può significare – dal lato dell’esorcismo – il contrario di “chiamata, invito” e quindi “cacciata, ripulsa”, ma – dal lato dell’incantamento – vale anche come “invito contro, in difesa da”: per usare le parole di Maffii, «si scrive per difendere ognuno di noi [per decidere se scavare una trincea d’attesa]». In questo primo testo la guerra che si affronta è con un escruciante ricordo familiare, come conferma l’incipit che cita una straordinaria poesia, “La familia” appunto, dell’autore andaluso Luis Cernuda: tu memoria como remordimiento. Lo strazio dei responsi ospedalieri e delle finzioni domestiche intorno a un tavolo dove non c’è «nessun lato a cui aggrapparsi» arriva a vandalizzare anche un maestro intoccabile come Eliot con le sue promesse fasulle di rinascita («flebo non fenicia ruota che volteggia urina»); segmenta il discorso interrompendolo continuamente con parentesi quadre che commentano, inseriscono zeppe, deviano, aggiungono, esplicano; impasta i termini medici con un lessico insistentemente religioso che suona come un crescendo di bestemmia fino a incidere l’endecasillabo conclusivo, la data indimenticabile: «[il] sette ottobre duemiladodici». Ma ciò che di queste linee resta più indelebile nel lettore è la violenza della circuitazione tra i tre elementi corpo/scrittura/mondo. Così, mentre le cinghie di contenimento del letto sono «lettere strette tra parentesi» e la carne violacea, consunta del morente, che «sembra pagina di un libro antico preda di roditori», diventa veramente «alma-libro, / hombre-mundo verdadero» (Unamuno), questa violenza ci trasforma tutti – noi di qua dalla pagina, come dentro la pagina il corteo dei parenti intorno al capezzale – in un lugubre pubblico di «tanato-lettori».
Il secondo testo, “Gli affogati nella carta dei tarocchi”, è un pamphlet eticamente risentito contro gli «indomenicati dal volto di sorba» che utilizzano «la croce la croce come scudo». Il dettato è percorso da un’indignazione che contorce i lessemi ereditati, trasformando il pater familias in «pater fanghiglia», mescolando il latino della Chiesa e della santa tradizione con le storture di un dizionario word dove «non esiste neanche» la parola femminicidio, utilizzando le potenzialità dell’ironia tragica («così splendidamente ripiena di morti la terra»), perfettamente calzante per paesi che si dicono cristiani dove «prima di tutto ci tolsero il nome / senza identità ci bruciarono i passaporti».
Anche nel terzo testo protagonista è il linguaggio, con una torsione che lo rende capace di parlare di sé come dal di fuori, per smascherare gli inganni, i traumi, i luoghi comuni («gli stranieri non pagano mai il bus»), le piccole, banali espressioni di soddisfazione borghese («si laurea giovedì mio figlio»). L’ingiunzione iniziale, però, è valida: non ci si deve far «ingannare dal titolo», perché al di là del virtuosismo compositivo che spingerebbe a concentrarsi sulle rime petrarchesche («viso / paradiso») incistite in un dettato ruvido e di registro ostinatamente antiaulico, sull’abilità nell’alternare le voci dei parlanti o sui giochi di parola («stipato sfiatato sopra un autobus»), il nucleo pulsante del testo va smascherato nel suo distillato di pietas, in un’empatia che spezza il cuore per il simile, l’impiegato-falena intrappolata nelle «8 ore / di morte giornaliera», il pendolare incappucciato che si addormenta sbattendo la testa contro il finestrino e resuscita «giunto al capolinea» solo per morire «di nuovo inghiottito dalla folla». (Maria Luisa Vezzali)