Premio Bologna in Lettere 2020
Sezione B (raccolte inedite)
Giorgio Papitto, Una bestia che tace – Finalista
La forza epigrammatica e tagliente nella costruzione dei versi rende Una bestia che tace una raccolta dal forte impatto dal punto di vista prettamente emotivo, ma scavalcando la piacevole superficialità di una poesia nitida e suggestiva si va incontro a una poetica solida e consapevole.
Papitto allestisce un vero universo letterario, sia tematico che formale. L’esperienza umana, fatta di perdite, mancanze e traumi, è vissuta visceralmente, munendosi del grande insegnamento della lirica più recente – quella meno ombelicale e più densamente intrapsichica che da De Angelis in poi ha trovato un robusto delineamento fino al contemporaneo poetico degli anni Venti del Duemila. La morte – fatta di corpi e cenere, di «sabbia magra» e di case degli altri che non hanno odore – è scandagliata nelle profondità più torbide gestendo una lingua delicatamente opaca, scomposta in immagini nitide e suggestive, realizzando una grande metonimia personale oltremodo efficace con la complicità di un impressionistico mondo animale che interviene spessissimo per verificare un senso ulteriore, uno scombussolamento nella linearità del dettato: «Forse sei morto, / Come un qualsiasi animale, / le cui Vertebre ricordino un tramonto»; «Le mosche passano sulle vene / Nell’intonaco delle guance. Mangiano e / Trascinano Il dolore in un’unica direzione, / Dove bianco è il letto / Di un inferno che scorre».
L’espediente formale che caratterizza tutta l’opera risulta senz’altro adeguato, basandosi unicamente su strofe di due versi o su linee singole: non però alla ricerca di qualche tensione banalmente aforistica, ma dando concretezza a una fantasmatica ontologia del dolore che aleggia per tutta la raccolta – «Il confine: penso ai miei genitori e / Sono frasi spezzate». Questa consapevolezza stilistica – che è forse il legittimo inseguimento di una propria riconoscibilità – produce una voce poetica personale ma specialmente autentica, anche quando le incursioni in una semiosfera onirica/metafisica rischiano di far scivolare i testi in episodi più fumosi e meno incisivi (e in quei casi la formula della brevità strofica è senz’altro un buon modo per ammansire poesie che rischiano di risultare frutto di una feroce scrittura automatica).
In Una bestia che tace avviene dunque un bell’episodio di scrittura poetica: non si slabbra mai il margine del rigore estetico e della lucidità linguistica, costituendo una raccolta che ha anche il respiro della suite organica, del “libro di poesia”, mai della sequenza di testi più o meno organizzati. Un merito luminoso, che va di pari passo con la godibilità generale che la lettura di queste poesie genera. (Andrea Donaera)