Premio Bologna in Lettere 2021
Sezione A (Opere edite)
Lella De Marchi
Ipotesi per una bambina cyborg
(Transeuropa edizioni)
Nota critica di Daniele Barbieri
La disalterità di Lella De Marchi
Quando l’altro è lo stesso, ma non del tutto, si generano delle inquietudini ossessive. Tutto scorre, ma è come se scorresse in circolo. Tutto ritorna, ma ogni volta è un poco differente. Identità e alterità si confondono, ma non possono confondersi del tutto, perché se un’identità è anche un’alterità, essa porta in sé il principio della diversità.
Una bambina cyborg non è un essere vivente, eppure lo è. Ha visto cose che voi umani…, ma sente le cose come tutti. È diversa, ma non lo è. È un’altra, e insieme è se stessa. Tornare a navigare nel grande vuoto, lanciando calci senza riceverne, in un liquido amniotico che torna più volte in queste poesie.
E tornano tante parole, a breve distanza, ossessive, e a lunga distanza, diversamente ossessive. E ritornano i suoni: assonanze, allitterazioni, paronomasie, bisticci. Una goccia stilla da una stella, di postille di pupille, tutto nel mondo si scinde, tutto nel mondo si sente, tutto è monco nel mondo. Del resto, io sono nata più volte. / inseguo nel niente una ripetizione costante.
C’è un andamento musicale, quasi danzante, in queste poesie di Lella De Marchi, anche se la danza non ci libera; è come una possessione, un ritmo da violino del diavolo a cui non si può resistere e che ci porta con sé. C’è anche un andamento narrativo, in queste poesie, ed è lì dentro che la possessione ci getta, a cavallo tra tenerezza, tenerezza e angoscia.
La bambina esiste davvero, è nata, gioca, viene presa per mano. Contemporaneamente, la bambina è la proiezione dell’infanzia di chi scrive. Il diverso è l’identico. L’identico è il diverso. La bambina è artificiale come l’amore che vive / e prolifera su questa terra. È unica e multipla. È lei stessa ed è tutte le cose e tutti gli animali che ci parlano, che naturalmente intervengono nel dialogo/monologo, nel ritratto/autoritratto. Del resto siamo la doppia immagine che può vedersi da sola.
Non si tratta però di un mondo di illusioni. In questa mise en abîme, di specchi che riflettono altri specchi, il sentimento traluce. Rischia di diventare falso solo quando se ne parla. Necessariamente c’è e si trasmette, perché tra l’io e l’altro c’è continuità, ci sono le cose che tornano, le parole che tornano, i suoni che si ripetono: sostanze, materia, carne.
Viceversa, l’amore non si cura della forma l’amore sa che la forma / non è che un antidoto alla paura. Poco importa mostrare di amare. Amare è ritrovarsi nel vortice di una differenza che insieme non lo è, eppure lo è, ma ancora lo nega. Ritornare ossessivamente, appassionatamente, musicalmente, sull’assenza di una distanza che c’è ma non c’è. E che in questa oscillazione ugualmente, paradossalmente, scorre.
Foto Valentina Milozzi
Lella De Marchi (Pesaro, 1970) è poeta autrice performer. Laureata in Lettere Moderne all’Università di Bologna, ha seguito corsi di scrittura creativa e sceneggiatura, laboratori di teatro e lettura espressiva ad alta voce. Quattro le pubblicazioni di poesia: La spugna (Raffaelli Editore 2010), Stati di amnesia (Lietocolle 2013), Paesaggio con ossa (Arcipelago Itaca 2017), Ipotesi per una bambina cyborg (Transeuropa 2020), vincitore del Premio InediTo 2019, ed un libro di racconti brevi Tutte le cose sono uno (Prospettiva 2015). Ha ottenuto molteplici premi sia con l’edito che con l’inedito. Suoi testi sono inclusi in antologie di poesia contemporanea, blog e riviste su internet. Realizza azioni poetico-musicali, tratte dai suoi testi e da testi di altri autori. Si occupa di poesia recensendo libri di poesia contemporanea ed è diplomata al CET di Mogol come autrice di testi per canzone.