Bologna in Lettere 2021
Il Festival online
Premio Bologna in Lettere 2021
Sezione B (Raccolte inedite)
Sergio Pasquandrea
Lunario
Nota critica di Giorgio Galli
“Eppure – pensavo – sarebbe bello
scrivere una poesia come quell’uomo
allinea i sampietrini cadenzando
l’oscillazione di un grosso martello
smontarle e rimontarle come questo
ingegnere ci spiega il meccanismo
di una pompa a calore o con l’orgoglio
dell’operaio che dopo quarant’anni
di lavoro ci enumera ogni pezzo
della centrale idroelettrica: nome
dati tecnici usura revisioni
portata voltaggio e preventivata
messa a riposo. Nulla rimarrebbe
fuori nessun mistero o zona d’ombra:
tutto nitido come questi tubi
dai colori svuotati di ogni estetica
così perfettamente conclusi nella propria funzione.”
Una dichiarazione di poetica che volge al minimo, all’umile. Fare poesia come fare un qualsiasi mestiere, con competente modestia. E tuttavia fare poesia come una costruzione, come un edificare qualcosa di cui poi resterà traccia – non la traccia vigorosa lasciata dai grandi, ma la traccia anonima dei mestieranti.
Sembra che all’autore di Lunario interessi soprattutto registrare momenti dell’esistenza. La sua poesia è una poesia istantanea, del qui e ora, fatta soprattutto di “cronache” – come recita il titolo della terza sezione – e incorniciata da titoli ed esergo spesso in inglese. Questa aderenza al reale non esclude l’interrogazione su di esso, interrogazione che di solito è sottesa al tono dei versi, ma che a volte si fa esplicita e sbigottita: “dev’esserci un senso qui e ora / ma bisogna fare silenzio”. Tale silenzio prelude a un ascolto del reale e a una sua riproduzione non superficiale, non fotografica, ma viva e problematica. E tuttavia è sintomatico che il senso per Pasquandrea non possa darsi che nel qui e ora, che sia tutto immanente, lontano dai varchi montaliani.
Che dica di una strage di indios o della gioia pura dei bambini al gioco o a scuola, il poeta mostra di saper distinguere le diverse tonalità della gioia e del dolore e di saperle intonare, anche laddove pare semplicemente elencare gli oggetti della sua attenzione. Oggetti che sono sempre concretissimi, proiettati in una visione nutrita di disincanto, dove la facilità di visione è presa in se stessa e l’unica ragione del vivere è il vivere stesso: “Che io sopravviva ancora chissà quanto / non è giusto – senz’altro. / Però davvero – non ho altro da fare”
Sergio Pasquandrea è nato a San Severo (FG) nel 1975. Dai primi anni Novanta vive a Perugia, dove insegna Lettere in un liceo. Nel 2014 è uscita la sua prima silloge, intitolata Approssimazioni (Pietre Vive/iCentoLillo) seguita da Oltre il margine (Fara, 2015), Un posto per la buona stagione (Qudu, 2016), Approssimazioni e convergenze (Pietre Vive, 2017) e Sono un deserto (Lietocolle, 2019). Ha inoltre pubblicato due plaquette: Topografia della solitudine (in “Pubblica con noi”, Fara 2010; seconda edizione, in e-book e audiolibro: Pietre Vive, 2017) e Parole agli assenti (in “Contatti”, Smasher 2011). Numerosi suoi testi poetici sono apparsi su antologie, riviste o sul web (per una bibliografia completa, cfr. https://guscidinoce.wordpress.com/mi-trovate-anche-qui/). Collabora come giornalista e critico musicale con il bimestrale “Jazzit” e con i blog “Nazione Indiana”, “La poesia e lo spirito”, “Jazz nel pomeriggio”, “Words Social Forum”, “Artmaker”, “Carte Sensibili”. Ha pubblicato nel 2014 il volume di racconti Volevo essere Bill Evans (Fara) e nel 2015 il saggio Breve storia del pianoforte jazz. Un racconto in bianco e in nero (Arcana Editrice). Di prossima uscita, per EDT, il saggio Brad Mehldau. Ritratto di un pianista eclettico, scritto in collaborazione con il pianista jazz Carlo Morena.