Bologna in Lettere 2021
Il Festival online
PREMIO BOLOGNA IN LETTERE 2021
(Sezione C – Poesie singole inedite)
Loriana D’Ari
Dei vivi e dei morti
Loriana D’Ari e la poetica “degli esili resti”.
di Antonella Pierangeli
Uno stile di rara efficacia espressiva quello di Loriana D’Ari, che non esita a ricorrere ad una sorta di polifonia del dolore, intrecciata a sonorità acuminate che sgretolano l’oleografico sentimentalismo che solitamente insidia le riflessioni sugli eventi più luttuosi. In questi due brevi componimenti, Dei vivi e dei morti, vengono inferti colpi fortissimi alle più viete convenzioni, attraverso un progressivo scavo nel dolore personale, con accenti di intensa e profonda sincerità. La parola poetica è infatti funerea, dolente, consapevole ma al tempo stesso si rende voce, ribellione, sdegno nei confronti dell’ostensione del suo fragile guscio: “ecco le povere cose, gli esili resti”. Nelle sue incrinature si trovano infatti tutte le antinomie possibili dell’esperienza umana, in cui “…la colpa è uno scavo di rotule/nel fango…”, in cui il linguaggio nell’atto di aggregarsi viene gestito da un pensiero che guida il fluire delle idee, delle immagini e delle forme e si fa dominatore della tragicità del reale, inventa e trasforma ciò che cade sotto gli occhi. Vedere e pensare sono enti diversi, certamente, ma dialogano in sincrono, approdando ad una malinconica visione nullificante, in virtù della quale lo sguardo mentale può rendere l’opaco disgregarsi, trasparente, il vuoto agibile del disfacimento, visibile. In questa penombra mentale, in cui “ …coincidono/ ombre e contorni…” sembra situarsi dunque la poesia di Loriana D’Ari, la cui matrice strumentale costituisce il fondamento di un connettivo linguistico che ha un forte spessore psicoanalitico: “…non visti, i morti si allenano/alla trasparenza…”, come vuoti archetipi di ombre. La parola ha dunque un’andatura atonale, aritmica, tipicamente modulata sulla tenuta del pensiero, in cui la forma rende più dolente il trascorrere del discorso. Spesso indugia quasi, con una pietas tutta antilirica, nel ricostruire la fisionomia deturpata dei corpi oltraggiati dalla sepsi, inquadrati in un piano sequenza in cui essi “…trascinano/ notti interminabili lungo i/corridoi…” e che potrebbe divenire il vero: un reale duro e urticante, una battaglia che la mente compie attraverso un corpo che non sembra resistere all’oltraggio supremo.