Premio Bologna in Lettere 2021
Guglielmo Aprile, La danza dei tagliaerba – Nota critica di Clery Celeste
La danza dei tagliaerba è una silloge che spara costantemente sulla dimensione della città. I versi paiono proiettili pronti a colpire dove le azioni più si fanno normali e quotidiane, come il tagliaerba che passa tutte le mattine al parco della città. In realtà l’uomo non risiede più dietro la macchina, l’uomo è assente e non si riprende per nulla la natura. Il tagliaerba taglia senza guardare cosa c’è sotto, quali strati di verde potrebbero invece sopravvivere. Il poeta in questa raccolta vuole trascinarci dentro un mondo urbano sradicato della natura e dell’anima. Noi abitiamo la città come fossimo delle cose, la betoniera ha infatti una sua autonomia, vive più di noi. Tutto è un ingombro di macchine e fa paura. In questa raccolta il poeta ci fa riflettere su quale sia il nostro posto dentro l’urbanistica, se diventare assenti alle cose oppure guidarle. Se le macchine sono autonome e danzano, a noi cosa resta? “una falce è passata/ sopra un quartiere che conosco bene:/ lo abita oggi/ una popolazione di amputati.” Se l’uomo non si sveglia e non comincia a essere presente a sé stesso allora è facile che una falce passi sopra a un quartiere e tagli tutto e tutti. Una raccolta questa per farci riflettere sul nostro posto nell’urbe, per chiederci quanto davvero occupiamo questo suolo consapevolmente oppure se lasciamo alle macchine tutta la resistenza. “Contiamo i giorni, impazienti, che mancano/ alla data della villeggiatura;(…) e ogni vigilia è madre della polvere/ e questa somma di mattoni/ alleva il cratere che la divora.” Lo spazio vuoto urbano che lasciamo alla vigilia di una partenza per la villeggiatura, piccola parentesi concessa di vita in una non vita, accresce sé stesso, alleva il suo cratere. Il luogo che abitiamo inconsapevolmente quindi si divora e ci divora, l’urbe è una gigantesca Idra, a ogni testa tagliata ne ricompare una uguale e assetata. La danza dei tagliaerba è una silloge che ci impone una lettura critica verso noi stessi, non possiamo leggere questi testi restando nel nostro giardino sintetico e sicuro, dobbiamo per forza farci delle domande e chiederci che senso abbiamo di esistere tra queste macchine, tra foreste di cemento.