Premio Bologna in Lettere 2021
Roberto Ariagno o la poesia del transito: nota di Enea Roversi su Il tempo di una muta
Uscita sul finire del 2020 per Edizioni Kurumuny nella collana Rosada, la raccolta Il tempo di una muta di Roberto Ariagno conferma le doti di un autore appartato quanto talentuoso, del quale avevo già avuto modo di apprezzare il precedente libro Disarmare il nome (Italic, 2017), che ottenne anch’esso la segnalazione al Premio Bologna in Lettere 2018.
La raccolta è divisa in quattro sezioni: Nel mordere dell’aria, Il metallo dietro le cose, Sapere il tuo sale, Un andare svelto incontro alla resa.
Nelle Note a margine che precedono la raccolta, Caterina Serra scrive che la poesia di Roberto Ariagno segue “un circuito di ferro e di luce che tiene legati forte al mondo: c’è un metallo dietro le cose, una luce che le attraversa mentre insorge la frattura.”
Partendo da questa considerazione, insieme suggestiva e calzante, si potrebbe parlare della poesia di Roberto Ariagno come di una poesia che illustra e scandaglia il passaggio, inteso come movimento o spostamento da un luogo all’altro, ma anche come mutamento (esteriore e interiore) dell’essere umano, per arrivare a definirla (forse un azzardo, ma non credo) poesia del transito.
Non è un caso che questa parola la si trovi subito, nel testo che apre l’intera raccolta a pagina 13, nel verso le facciate mosse da un transito di luce, per ritrovarla poi verso la fine, a pagina 68, nella citazione in esergo di Franco Fortini, tratta da Le mani di Radek che recita: …nella misura in cui sono le più chiare figure del transito e del mutamento, essi sono il nostro futuro, occupano un luogo al quale ancora dobbiamo venire.
Era presente, la parola transito, anche in Disarmare il nome, per l’esattezza due volte: a pagina 14 (il transito sordo / delle intenzioni e dei vicoli) e a pagina 71 (e dalla tua finestra vedi che ricomincia / il transito lungo i canali) più una terza presenza nella forma plurale, a pagina 49 (i borghi / sulle alture centrali le cui vie salgono / a transiti inattuali).
Troviamo sei volte la parola via e cinque volte strada: nei versi di Ariagno l’idea di movimento, o più propriamente di attraversamento, è costantemente presente, in bilico tra passato e presente, tra cronaca e memoria.
Scorrono dunque immagini della vita di città: i palazzi con le loro facciate, i balconi, i negozi, le fermate d’autobus, il traffico. Si alternano ai paesaggi: boschi, fiumi, prati, nuvole, acqua che scorre.
Lo spazio è infinito, ma anche precario, sembra ammonirci Ariagno: qui restano mura lucide, un filare muto / la luce netta davanti alle cose ed è proprio la parola luce quella che ricorre più volte, ben ventitré, ne Il tempo di una muta.
È in fondo lo stesso senso di precarietà e di smarrimento che troviamo nella citazione in esergo di Amelia Rosselli che precede l’ultimo testo della raccolta: Ecco il mondo bussare alla mia porta e io non rispondere.
Proprio in questo testo Ariagno scrive: (ma più tardi è tutto chiuso / e non ci sono parentesi. Il verso inizia con una parentesi, la quale poi non viene chiusa: è una caratteristica tipica di Ariagno, che era presente nel già citato Disarmare il nome, ma che qui diventa una costante.
Non si tratta di una mera scelta stilistica, quanto di un’esplicita dichiarazione da parte dell’autore: una dichiarazione di apertura, di accoglienza, l’indicazione di una via (di fuga, ma non solo), resa ancora più esplicita nei versi poc’anzi citati in cui si afferma che non ci sono parentesi.
Eppure, quegli stessi versi, appaiono quasi come un ossimoro, se ne osserviamo la prima parte, nella quale viene detto che è tutto chiuso.
Ma è davvero un ossimoro? È una contraddizione? Nulla di tutto questo, a parer mio, ma semplicemente l’osservazione della realtà e del suo lato nascosto: chiusura e apertura, spazio infinito e pareti buie, parola che fluisce e verso che si spezza.
Ancora una volta attingo alle citazioni che l’autore ha inserito nel suo libro: questa di Roberto Sanesi, che recita Di conseguenza l’ambiguità del reale sta nella sua esattezza ci può dare man forte nel chiarire e definire la poesia di Roberto Ariagno.
L’intero viaggio poetico che Ariagno compie è un cammino consapevole, una presa di coscienza sincera e a volte sofferta che fa i conti con le ambiguità, i paradossi, i compromessi, le ingiustizie che la vita presenta ogni giorno.
È un viaggio di sensazioni impalpabili, ma anche di materia: troviamo infatti nei versi di Ariagno ferro, metallo, terra, smalto, sale, bronzo, parole tutte che segnano, incidendola quasi, la scrittura.
Dovessi scegliere uno o più versi per rappresentare questa raccolta opterei sicuramente per questi, che appaiono a pagina 38: questa crepa fra prima e dopo / in cui l’ordine si perde.
Si percepiscono in essi il malessere, il disordine, il disorientamento: c’è il passaggio tra un tempo e l’altro, in attesa di quel cambio di pelle che è solo esteriore, in attesa di una luce che venga a riportare l’ordine.
Il tempo di una muta è dunque una raccolta di grande spessore, caratterizzata da una non comune coerenza: sono convinto che la poesia del transito di Roberto Ariagno meriterebbe sicuramente una maggior attenzione da parte del mondo poetico.
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