Bologna in Lettere 10th – Kiwao Nomura

Bologna in Lettere 10th

 

BĂBÉL  

stati di alterazione

 

 

Focus sulla poesia giapponese contemporanea

a cura di Karine Marcelle Arneodo

 

 

Kiwao Nomura

Hotel Eden

 

 

 

 

 

 

 

野村喜和夫

エデンホテル

 

 

場が沈む、場が沈むとき──

 

名も失われた街道に沿って、

光の茅のあいだ、力の棕櫚のあいだを、

エデンホテルが、うっすらと浮かんでいる、という、

 

街道は湖に、湖はこの世の果てに、

ぼうぼうとかすむこの世の果てに、

つづいている、その手前で、

ひとは気まぐれに、エデンホテルに宿をとるのだ、

 

私たちもまた、熟れすぎた柑橘のような月を仰ぎつつ、

やや遅い到着ではあったが、

 

地階のバーでは、水だけが供される、

食堂は異様に広く、キンキラ、

その奥の、一段高くなったところには、

かの、「最後の晩餐」もできそうな、長い長い食卓がある、

 

場が沈む、なおも場が沈むとき──

 

エデンホテルでは、すべてが壊れかかっている、

部屋のドアのノブから、机の抽斗、電球の傘にいたるまで、

あるいはすべてが歪んでいる、壁に掛けられた絵、

机の上の鏡、バスルームへの引き戸、すべてが壊れかかり、

あるいは歪んでいる、すなわち蛇が、

ふたたび、脚をもつことを許され、

ひとが絶えたあとの、薄く陽のさす地上を、

笑う甲骨文字のように、這う、

 

絵に描かれているのはその蛇だ、そのため、

私たちも、落ち着かない気持ちのまま、眠りにつく、

だがその眠りの、なんと深いことか、

湖底が、呼びもしないのに、

私たちの眼底と通じ合う、かのようだ、

そこでみる夢もまた、旋転にみち、めざめたときには、

いくらか目鼻のない、マルメロ、

マルメロのような顔になる、

 

エデンホテルでの、愛の営み、

尻を、ひっきりなしの街道の騒音に撫でられながら、

エデンホテルでの、愛の営み、

たとえばそこから、無頭の柔らかい子が、

貨幣を吐く魚の悦びが、つぎつぎと生まれ出る、という、

 

そうして午前4時、午前4時、

言い表しがたいものが、ビロードの燠のような、

無音の叫びを上げるなか、

無人の薄気味悪い精液が、夜明け前の、

蒼白いミルクのおもてに混じる、

 

エデンホテルに、ひとはだから、長くとどまるべきではない、

地の底に沈む込むような、劣悪なベッドのうえで、

数泊もしないうちに、私たちは、

いうなれば、生の基底にまでふれてしまう、

するとあらゆる言葉を、たとえ睦言であっても、

遠く、湖を越えてゆく音のように聴く、

 

「わたしが死ぬときには、蠅が窓から入ってきて、

ぶーんと、暗い唸りをあげるの」

 

心の内奥などというものは、もはや自律的には、

蠅である、したがって滞在とは、

私たちがすでに、使い回された実在であると知ること、

にひとしい、イヴよ、

たまらなくひとしい、

 

こうして場が沈む、きりもなく場が沈むとき──

 

名も失われた街道に沿って、

エデンホテルが、うっすらと浮かんでいる、という、

 

その歪んだ廊下を突き抜けると、

いきなり、湖への眺望だ、

かつてそのうえを、歩いて渡った者もいた、

彼の眼に、そのさきの、ぼうぼうとかすむこの世の果ては、

どのように映じていたのだろう、

 

だがそれは、この部屋のことかもしれない、

窓がなく、ネットへの接続もできず、

薄型テレビだけが、無意味にまあたらしく、輝いている、

あるいはその奥に、累代のイヴの、

硬い、亜麻色の卵巣がみえる、

 

エデンホテルを発つ日、その日ならば、

めずらしく湖は晴れあがり、

この世の果てが、赤茶けた山容そのままに、

あらわれているだろうか、あるいは尻を、

ひっきりなしの街道の騒音に撫でられながら、そうして朝、

無頭の柔らかい子が、光の茅のあいだ、

力の棕櫚のあいだを、湖へと、

歩み去るまで、

 

エデンホテル、エデンホテルを見出せ、

 

 

*括弧内、エミリー・ディキンソンより。

 

*

 

Hotel Eden

 

il luogo affonda, se il luogo affonda —

 

lungo la statale di cui perfino il nome è andato perso,

tra le graminacee in luce e le palme in forza,

a tratti, affiora lievemente la sagoma dell’Hotel Eden – così si dice –

 

la statale conduce al lago, il lago al confine del mondo,

allo sterminato confine di questo mondo avvolto nelle nubi,

conduce, ma fermandosi poco prima

la gente scende all’Hotel Eden, a cuor leggero

 

guardando la luna che assomiglia a un agrume marcio,

pure noi, ci siamo giunti, ma un po’ sul tardi

 

al bar del piano interrato, servono solo acqua,

il ristorante è del tutto sproporzionato, pacchiano,

e nel fondo, dove si rialza il pavimento,

un tavolo, c’è, così lungo da potere officiare la celebre “Ultima Cena”

 

il luogo affonda, se il luogo ancora affonda —

 

all’Hotel Eden tutte le cose sono malconce,

dalla maniglia della porta della camera, al cassetto della scrivania, fino al lampadario,

ovvero, tutto è sghembo, il dipinto appeso al muro,

lo specchio sopra la scrivania, la porta scorrevole del bagno, tutto cade a pezzi,

ovvero, è sghembo, e perciò al serpente è concesso,

di nuovo, di godere di piccole zampe,

e strisciare, come una scrittura su ossa che ride,

sulla terra, sotto un sole fievole, nel dopo della scomparsa dell’uomo

 

è lui il serpente ritratto nel dipinto, ecco perché,

pure noi, ci siamo addormentati, con un gran senso d’irrequietezza,

ma quanto è stato profondo, questo sonno,

sebbene non lo abbiamo chiamato, il fondo del lago,

è come ci fosse stato, un collegamento, con il fondo dei nostri occhi,

e i sogni, che sono scaturiti, hanno fatto mille rotazioni, e quando ci siamo svegliati

ci siamo ritrovati, in viso, l’espressione di una mela cotogna,

una cotogna, sprovvista di lineamenti

 

il commercio dell’amore, all’Hotel Eden,

il culo sotto carezze del frastuono costante della statale,

il commercio dell’amore, all’Hotel Eden,

da questo commercio, nascono, tra l’altro, in gran susseguirsi,

bimbi molli senza teste, allegrie di pesce sputadenaro – così si dice –

 

ed eccoci approdati alle 4 di mattina, le 4 di mattina,

mentre un qualche cosa d’indefinibile emette

un grido muto, simile a brace di velluto,

lo sperma minaccioso, di nessuno, si mischia

alle fattezze lattee biancastre dell’alba

 

per cui, del tutto preferibile, è che la gente non soggiorni a lungo, all’Hotel Eden,

su questo miserabile letto, che sembra sprofondare sotto terra,

stiamo già toccando, in poche notti,

possiamo dirlo, il fondo dell’esistenza

e così ogni parola, perfino ogni sussurro amoroso

echeggia da lontano, come fossero suoni che viaggiano sul lago

 

“quando morii, una mosca entrò dalla finestra,

ed udii un ronzio, cupo quanto un mugugno” [[1]]

 

le recondite profondità del cuore sono, ormai, da considerarsi liberamente

una mosca, perciò soggiornare

equivale, Eva,

a riconoscere che siamo già realtà usurate,

solo a questo equivale

 

e così il luogo affonda, se il luogo senza fine affonda —

 

lungo la statale di cui perfino il nome è andato perso,

a tratti, affiora lievemente la sagoma dell’Hotel Eden – così si dice –

 

raggiunto il fondo del corridoio sghembo,

inaspettatamente, si dispiega una vista panoramica sul lago,

ci fu una volta in cui uno attraversò l’acqua camminando,

e c’è da chiedersi, come apparvero,

ai suoi occhi, questi lembi dello sterminato confine del mondo

 

ma, tutto questo, riguarda forse la stanza in cui siamo,

non c’è finestra, non c’è connessione internet,

c’è solo una televisione a schermo piatto, nuova di zecca, che luccica inutilmente,

eppure, nel fondo dello schermo sembra si possano vedere

le dure ovaie, color lino, di tutte le generazioni di Eva

 

il giorno in cui lasceremo l’Hotel Eden, quando il giorno verrà,

il lago sarà insolitamente sereno,

e il confine del mondo potrebbe, chissà,

assumere la forma esatta di una montagna calva e rossiccia, eppure, col culo

sotto carezze del frastuono costante della statale, in quella mattina,

un bimbo molle senza testa, facendosi strada tra le graminacee in luce,

e le palme in forza, camminerà,

finché non sprofonderà nel lago

 

adesso ti tocca scoprire l’Hotel Eden, l’Hotel Eden

 

[1] da un poema di Emily Dickinson

 

*

Traduzione Karine Marcelle Arneodo

Revisione Olmo Calzolari

Un ringraziamento a Kaharu Inokuchi e Akari Kodera

per l’aiuto alla comprensione approfondita del testo

*

 

Kiwao Nomura*

 

Nato nel 1951 a Iruma nella Provincia di Saitama (a nord di Tokio), consegue la laurea in letteratura giapponese presso l’Università di Waseda e si specializza in letteratura francese presso l’università Meiji (entrambe a Tokio). È considerato una delle voci più sperimentali della poesia contemporanea giapponese ed è conosciuto per la sua capacità a far dialogare la poesia con varie attività performative, in particolare la danza e la musica. Si dedica volentieri a letture pubbliche in contesti nazionali ed internazionali, ed è un organizzatore di festival e di eventi, mettendo frequentemente a disposizione la propria casa come luogo d’incontri per la poesia. Oltre alla sua feconda opera come poeta per diversi decenni, è un traduttore di poesia moderna francese (Verlaine, Char, Rimbaud), ed è inoltre un critico letterario sensibile ai pensieri di Merleau-Ponty et Deleuze. In collaborazione con il poeta Shuri Kido (1959), ha proposto una reinterpretazione teorica della letteratura postbellica. Tra le sue numerose opere poetiche si possono citare la raccolta dell’esordio Kawanae [Il torpore del fiume] (1987), la raccolta Tokusei no nai hi no moto ni [Sotto un sole senza carattere] (1993) vincitrice della quarta edizione del Premio Rekitei dei nuovi talenti, Kaze no haibun [La spartizione del vento] (1999) vincitrice della trentesima edizione del Premio Takami Jun, Nyû insupirêshon [New inspiration] (2003) vincitrice della ventunesima edizione del Premio Hanatsubaki per la Poesia Contemporanea. Tra le opere più recenti, Nankaina jitensha [Una bicicletta ermetica] (2012) vincitrice della cinquantesima edizione del Premio dedicato alla memoria di Tôson dei poeti di Rekitei. La sua poesia è tradotta in varie lingue, in particolare in inglese (americano) con la presenza di un’antologia a cura di Kyoko Yoshida e Forrest Gander, intitolata Spectacle & Pigsty, 2011, e la prima traduzione di un interra sua raccolta ad opera del poeta Eric Selland, The Day Laid Bare, 2020, (titolo originale Nûdo na hi, del 2011). In italiano è presente nella recente antologia dei Poeti giapponesi a cura di Maria Teresa Orsi e Alessandro Clementi degli Albizzi, Einaudi, 2020.

 

La poesia “Hotel Eden” appartiene alla raccolta Dejabyu kaidô [La statale dei déjà-vu] del 2017, considerata dal poeta come un punto d’arrivo nel lavoro di una vita. Eppure, la raccolta compie un viaggio a ritroso all’interno dell’opera stessa, tornando alle visioni originarie di “strade immaginarie” in cui l’atto del peregrinare si configura come archetipo della poetica. L’“Hotel Eden” è caratterizzata da una semplicità espressiva che si diversifica nettamente dalla rinomata complessità linguistica della poesia di Nomura. La poesia propone di tornare sui passi di un pensiero distopico configuratosi nel periodo dell’alta crescita economica che ha portato conseguenze già ormai note. In questo senso l’“Hotel Eden” è l’evocazione dei non-luoghi che popolano oggi un mondo in cui le cose giungono a una tale livello di degrado e di assurdità che l’eros malmenato non può che partorire figure mostruose.

 

* Il nome del poeta viene dato nel consueto ordine occidentale in cui il nome precede il cognome, contrariamente di quanto avvenga in Giappone.