Bologna in Lettere 10th
BĂBÉL
stati di alterazione
International Poetry Review
a cura di Alessandro Brusa
Ángelo Néstore
Un geranio
Ogni volta che torno a casa e immagino
di aprire la porta, posare le chiavi, gridare il tuo nome,
ogni volta che torno a casa e percepisco la fame
−un altro piatto sporco da lavare sul tavolo−
mi avvicino alla finestra, innaffio il vaso
e ti immagino inabissare le dita
nelle acque torbide delle mie generazioni.
Quanti mari naufragherebbero dentro di me, mi domando,
quanti mari.
Ci somiglieremmo nelle maniere goffe,
nel passo lento.
Cercheremmo nel geranio i nomi dei genitori
che non sono esistiti.
Inventeremmo così la nostra storia,
chiameremmo pane la terra bagnata
e ci sporcheremmo le mani accarezzando le radici:
un esercito di corpi seppelliti, invisibili,
che fanno il solletico sui tuoi palmi di bambina affamata
e solo per un istante sentirei che ti ho salvato.
Ma ogni volta che torno a casa e ti immagino
e ti percepisco
c’è un geranio sulla finestra
che si piega e mi chiede acqua,
che mi ricorda troppo l’aridità
di due uomini che si amano.
Se mia figlia avesse un nome
Se mia figlia avesse un nome
conterebbe fino a duecento sei ossa maltrattate
per ogni minuto di silenzio.
Se mia figlia avesse un nome
vedrebbe donne partorire re nelle cinque lingue ufficiali,
negli angoli più sporchi della Spagna,
uomini con pance piene e denti marci
che inghiottono grida grandi come pugni,
che tessono il mondo come ragni,
un ordine antico in cui la mia storia si scontra per forza con la loro.
Se ti permettessero di avere un nome
vedresti come ci crescono fili di bava
dai denti, dalle mani,
sotto l’abito, su tutto il corpo.
Vivremmo tra le fauci
di uomini-ragno che masticano la nostra carne
e con una voracità che non si placa
masticano impazienti la nostra storia.
Se ti permettessero di avere un nome, figlia mia,
vedresti donne come me,
donne come te,
mostrare le ferite dei tanti fili intorno al collo
sempre nelle cinque lingue ufficiali,
sempre negli stessi e sporchi angoli,
lì tra le cose che non contano.
Camera ardente
Quando esibite il suo vestito nuovo, appena lavato,
quando parlate della sua prima parola o del primo dentino,
o vi domandate se sia meglio dargli il latte al seno o in polvere
io vi prenderei tutti per mano,
vi porterei in silenzio alla veglia funebre sul mio letto,
dove mia figlia gioca eternamente a far la morta.
Vi mostrerei il colore dei suoi occhi falsi,
la sua faccia gonfia di sonno arretrato,
le dita rugose, i capelli puliti,
dopo averle fatto il bagno con cura ogni sera.
Guardatemi. Anch’io sono un buon padre.
Il foglio illustrativo
Lei non può partorire.
Adesso. Né mai.
Se ne faccia una ragione.
Lei non può partorire. Ma non ha letto il foglio illustrativo?
Le consiglio di non scrivere più su questo argomento,
potrebbe finire in depressione.
Prenda in considerazione l’idea di un animale domestico.
Gli dia un nome, gli faccia foto, le metta sui social,
vedrà quanti mi piace ai post,
quante decine di amici allevieranno il suo dolore.
Si ricordi: la scienza è esatta, non imbroglia mai.
Ma si tiri su, lei è una persona coraggiosa, io la ammiro,
la sua opzione sessuale è un atto di resistenza.
Si piange per i morti, non per quelli che non sono nati.
Lei non ha motivo di essere triste.