Partendo dal presupposto che un’esperienza di lettura è in ogni caso l’attraversamento di un territorio sconosciuto, la lettura di Teoria delle rotonde. Paesaggi e prose di Italo Testa (Valigie Rosse 2020) è un’esperienza che ha molto a che vedere con la complessità delle nostra esperienza del mondo e con la capacità di un testo di agire a più livelli, scardinando non solo le aspettative del lettore ma anche la sua tradizionale modalità di lettura lineare. Come è stato notato altrove, è un principio di movimento che muove la pagina di Testa; in altre parole, attraverso la varietà di forme, le variazioni nei caratteri, la differenziazione delle tipologie di testo, la presenza delle immagini (foto di Testa ma rielaborate da Riccardo Bargellini), l’uso delle iterazioni e in generale l’andamento fortemente sperimentale, il lettore è spinto ad abbandonare ogni automatismo percettivo e sollecitato a connessioni impreviste. Innanzitutto, va esplicitata la struttura dell’oggetto in questione: Teoria delle rotonde non è un libro di poesia, certamente non in senso tradizionale: è concepito come una raccolta di testi di natura diversa, concepiti anche in periodi diversi; costituiscono semmai, com’è detto nella nota dell’autore, un tentativo di scrivere un saggio sul paesaggio contemporaneo, e sono noti gli scambi, per fortuna molti e proficui, tra la saggistica e la poesia degli ultimi anni. Si è accennato alla natura “mobile” della scrittura di Testa, e non a caso uno dei titoli recenti, sempre edito da Valigie Rosse, si intitolava I camminatori; nel corso della lettura di Teoria delle rotonde, invece, il focus percettivo si sposta dai cancelli alle rotonde alle spiagge del paesaggio contemporaneo, tutti luoghi in cui si manifesta il bisogno delle società contemporanee di fintamente razionalizzare ma in realtà irregimentare lo spazio impedendone l’accesso ad alcuni gruppi sociali: “perché la recinzione è necessaria”, dice una delle prose della sezione eliotianamente intitolata Paese guasto. Il luogo – il concetto di luogo, l’indagine sul luogo – è probabilmente l’elemento centrale di questi testi che, seppure in apparenza così diversi, possiedono in realtà una grande compattezza di discorso; il luogo è soprattutto il paesaggio così come è stato progettato e costruito negli ultimi trent’anni, ovvero con un coefficiente di alienazione che sembra voler alimentare la distanza dal luogo, lo sperdimento e il non-riconoscimento; dall’altro lato, la rotonda è la figura perfetta della proliferazione infinita e dannosa, ma anche dell’andare in tondo, a cui Testa dedica una prosa che racconta come questa dell’andare in tondo fosse una pratica comune nel suo paese d’origine. In questo territorio della percezione si aprono delle faglie, ci dice Testa nella sezione intitolata Detour: dei momenti in cui siamo scollegati dal mondo, in cui non facciamo presa. Mi piace pensare che sia questo il territorio della poesia: un luogo eventuale, per riprendere un’espressione che Testa mutua da Bachmann; un luogo di scorie e detriti da cui ogni tanto qualcosa riemerge chiedendo di essere riconosciuto e portato in superficie. Ma la condizione perché questo qualcosa accada è che il suo portato di opacità rimanga intatto, che il luogo-oggetto “si neghi nello stesso momento in cui si affaccia alla mente”; senza questa zona di non-riconoscimento “della poesia non sarebbe nulla, nulla accadrebbe”. (Marilena Renda)
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