Premio Bologna in Lettere 2022 – Antonella Bukovaz- Nota critica di Giacomo Cerrai
PREMIO BOLOGNA IN LETTERE
VIII edizione 2022
SEZIONE A
(Opere edite)
Premio speciale del presidente delle giurie
a
Antonella Bukovaz
per l’opera
casadolcecasa, Miraggi edizioni
Antonella Bukovaz è nata a Topolò-Topolove, in quella che una volta si chiamava la Slavia friulana, a un tiro di schioppo dal confine sloveno, a stretto contatto con quell’areale linguistico che ha espresso nel tempo scrittori come, solo per fare un nome, Boris Pahor. Autrice di diversi volumi di poesia, è anche autrice di teatro e performer, collaborando con musicisti e artisti del suono (e in effetti casadolcecasa / domljubidom, prima sezione e titolo del libro, è anche performance teatrale).
In realtà in questo libro la lingua di appartenenza, quella autoriale, non vuole essere esclusiva, poiché come talvolta avviene in quelle che spesso vengono vagamente definite letterature di confine, una seconda lingua non è meno vitale, ovvero non meno portatrice di una identità che se non è familiare è certo di senso, di contatto con l’altro, come un ponte fecondo. Poiché, ci avverte Bukovaz, “i luoghi di confine invece non sono mai in pausa (…) non smettono mai di comporre storia di fruttare storie”. Così, accanto alle sezioni principali del libro (la citata sezione eponima e poi Mèd / Tra – corredata anche da Between, versione in inglese – e Antigona govori kralju / Antigone parla al re) troviamo la versione in sloveno, in traduzioni che non sono di Bukovaz ma a cui si suppone l’autrice abbia collaborato. Finiscono di comporre e concludono la raccolta altre due parti solo in italiano, La rima dirime e Quieta e ardente. Viaggio dal centro della terra.
Quella di Bukovaz è una poesia che trova la sua forza in una metafora che potremmo definire totale, che cioè non ha funzione retorica, non serve al linguaggio ma in qualche modo lo determina, determina la “storia” che i versi costruiscono, ne è oggetto e la occupa. In questo senso è emblematico proprio casadolcecasa, un tragitto accidentato e tuttavia fermamente determinato attraverso un luogo che è insieme e in maniera indistricabile vero e immaginato, domestico e universale, privato e comune e forse non è nemmeno un luogo, ma un corpo, una mente, un territorio psichico, un archivio di ferite. Ingresso, cucina, corridoio, ripostiglio, bagno, camera, soffitta: sono le stanze (anche in termini poetici) attraversate in questo tragitto, virtualmente dal basso verso l’alto, e anche oltre (”la soffitta come un razzo in partenza con i motori sempre accesi”), abitate da una sorta di dialogo senza risposta con presenze (o assenze) sfuggenti, con gli oggetti, qualche fantasma.
Cosa c’è in queste stanze? Niente che ci interessi come descrizione, come ecfrasi di luoghi. L’abilità del poeta si dispiega nella definizione di un luogo-situazione insieme impalpabile e pesante, dove si sperimenta la “sfinimento del rammarico”, “il marciume della dimenticanza”, dove si assiste al “familiare riavvolgersi delle abitudini”, a cui presiedono divinità “iraconde indifferenti permalose” o “infuriate” che però appaiono non aliene, come promanazioni dell’animo, a chi la casa abita. Un luogo, anche, dove il corpo si materializza e smaterializza, acquista e perde funzioni, sbiadisce in quelle abitudini il suo valore affettivo e erotico, in stanze come la camera o il bagno deputate alla sua nudità essenziale. C’è, nella casa, un prima e un dopo inerente alla vita, qualcosa anche qui di confinario, “e si vive sempre inquieti – ci dice chi scrive – dal suo essere limite”, poiché in definitiva la casa e la vita di chi ci abita in quel limite sono sovrapponibili, sono finiti. Un concetto che trova analogia in Tra (Mèd / Between): lì il verso, già disarticolato e scompattato in casadolcecasa, assume altra forma, diventa discorso, memoria certo biografica, il confine diventa idea di qualcosa dove “non esiste la realtà ma solo la sua interpretazione” come in nessun altro luogo, dove le persone hanno “un abnorme senso della differenza”, dove hanno in sé il confine anzi sono prolungamenti di esso, dove “stanno sempre con la storia addosso” anche se “il più delle volte ne subiscono gli intrecci”. Il confine, la casa, o altre cose che vedremo, sono per Bukovaz elementi forti che nel linguaggio poetico tentano di chiarirsi nei loro significati plurimi, prendono una loro forma, e tuttavia annunciano un loro mistero, cantano la consapevolezza che la poesia è essenzialmente domanda, richiesta di senso. Come in Antigone, assai significativo lacerto di un poemetto più ampio, nella ricerca di significato la parola può essere “armata”, sfidante, portare in sé “una forma di rivoluzione degli spazi”, e a suo modo dell’ordine delle cose. Sembra andare in questo senso, proprio nel territorio della lingua, La rima dirime, che riafferma almeno la rivoluzione dello spazio significativo proprio quando sembra accettare il cerchio discriminante del mezzo rimico. Rime, assonanze fittamente innestate, ma au contraire serrate in blocchi prosastici che annullano l’ordinaria versificazione, qui inutile poiché, mi pare, qui c’è più che altrove la misura del respiro, il bisogno di “recitare” il pensiero d’un fiato. “A passare i cinquanta età cruenta non è ancora pronta è smunta è spenta si spalma di fondotinta” e così via, per 64 stanze e per diversi temi di fondo: non è un gioco di parole, né un filastrocca, non c’è il balbettio infantile dell’incerto, anzi la rigidità del suono perseguito (la “graticola della rima”) sembra in poche battute “dirimere” (appunto) ogni ambiguità del senso, ogni scarto del caso, per quanto un casus iniziale, un innesco creativo ma non fortuito ci sia. Così, anche nei testi più brevi, tutto torna, inevitabilmente. Se qui il linguaggio è rappresentazione di sé e delle proprie potenzialità non solo espressive ma anche generative di senso, in Quieta e ardente esso riprende la funzione strumentale di tropo, in questo caso direi più una allegoria che una metafora, un poemetto, forma mi pare prediletta da Bukovaz, che mette in scena un tema roccioso che ingloba, come “cristalli giovani” in un magma effusivo, un io-natura, io-terra, un io geologico però non esibito semmai intriso nel verso, anche qui in un percorso verticalizzato di stanze che vanno, come in un testo di scienze della terra, “dal nucleo interno”, sia esso della Terra o di chi scrive, da “un inferno sotterraneo” fino alla crosta terrestre, passando “dal nucleo esterno”, “dal mantello inferiore”, “dal mantello superiore”. Una formazione di sé, nel tempo, con “minerali pazienze”, con “tenerezza geologica”, “aspettando il cambiamento come un uovo”, mentre in questa lentezza si forma una coscienza del proprio essere, di un ordine ma anche di un disordine diciamo ontologico a cui corrispondere, fin lassù, “negli strati superficiali dove tutto mi guarda e mi riguarda e riconosce e specchia e vado storta e vado lentamente e aderisco”. A che cosa? al tutto che circonda, ci dice Bukovaz in una bella enumerazione di cose, “e pare che tutto questo ancora non sia nulla in confronto all’invisibile che per essere non ha bisogno di forma”. Sembrerebbe una buona definizione, seppur parziale, della sua poetica, come ricerca per mezzo di una lingua ricercata ma non astratta di questo invisibile nella sua possibile espressione, una lingua non astratta, intendo, perché creativa e tuttavia atta allo scopo, organica al tema e al registro di volta in volta adottato. E quest’ultima sezione, se fosse necessario, ne è un’ulteriore riprova. (Giacomo Cerrai)
Foto Ulderica Da Pozzo
Antonella Bukovaz. Sono originaria di Topolò-Topolove, borgo sul confine italo-sloveno. La mia prima pubblicazione è Tatuaggi (Lietocolle, 2006) seguito da al Limite (Le Lettere 2011) con dvd, opera del video maker Paolo Comuzzi e del musicista Antonio Della Marina. 3X3 parole per il teatro_3X3 besede za teater (ZTT-EST 2016) raccoglie i testi scritti per il teatro sonoro di Hanna Preuss. L’ultima pubblicazione è casadolcecasa_domljubidom (Miraggi, 2021), che è anche un audiolibro da me registrato per il Narratore (2022). Sono presente nell’Antologia Einaudi Nuovi poeti italiani, 6 per il cui testo principale “Storia di una donna che guarda al dissolversi di un paesaggio” ho ricevuto il premio Antonio Delfini nel 2009. Secret garden è un progetto fotografico (installazione e libro pubblicato da Danilo Montanari Editore, 2018) di Alessandra Maria Calò che contiene un mio testo in prosa. Ho collaborato come autrice e attrice con il teatro sonoro di Hanna Preuss, Hanna’s Atelje Sonoričnih umetnosti di Ljubljana nelle opere S.E.N.C.E (2010/2011), Sonokalipsa (2013) e Pavana za Antigono (2014) le cui rappresentazioni si sono svolte al Cankarjev dom di Ljubljana, al Teatro Miela di Trieste, alla Gekken gallery di Kyoto, al Teatro Massimo di Cagliari, nelle sale del castello di Lubiana. Del 2012 è la pubblicazione dei librini koordinate e Guarda per pulcinoelefante di Alberto Casiraghi. Collaboro e performo con l’elettrorumorista Eva Sassi Croce, con cui ho realizzato le performance: casadolcecasa, Lessico elettronico, L’Arte dei Rumori-omaggio a Luigi Russolo, Femminilizzazione del mondo (download gratuiti: http://www.ozkyesound.altervista.org).
Sempre con Eva Sassi Croce ho realizzato la video-lettura di Viaggio in Armenia di Osip Mandel’stam su progetto dell’Osservatorio Balcani e Caucaso Transeuropa. Con il musicista e artista sonoro Claudio P. Parrino ho realizzato l’audio installazione La stazione di Zima tratta dal poema di Evgenij A. Evtušenko. Collaboro con il trombettista Sandro Carta con il quale trovo continue dimensioni sonore ai miei testi e a testi di altri autori. Nell’edizione 2017 del Festival di Letteratura di Vilenica in Slovenija è stato assegnato, dalla Giuria internazionale del festival, il premio Kristal al mio testo Tra_in between_Mèd. Collaboro alla realizzazione di Stazione di Topolò-Postaja Topolove.
Insegno da sempre nella scuola bilingue di San Pietro al Natisone- Špeter.
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