Premio Bologna in Lettere 2022 – Dania Grechi – Nota critica di Maria Luisa Vezzali

 

 

 

PREMIO BOLOGNA IN LETTERE

VIII edizione 2022

SEZIONE B 

(Opere inedite)

 

Premio speciale del presidente delle giurie

a

Dania Grechi

 

per l’opera

Agonia selvatica

 

 

Si parte dalla fine. Con la fine si legge l’inizio. La crudeltà. La catastrofe. Dania Grechi è attrice, naturale che patisca con Artaud. E con il patimento di Artaud che trafigge Derrida. Nella silloge inedita che ha ricevuto il premio speciale del presidente della giuria Agonìa selvatica consistono tre parti – la prima DIARIO; FALLO; PASSITO; la seconda SACRE, PELOSE, SILHOUETTE; la terza FORSENNO (da camera) – ma è l’ultima che dà la chiave del resto, una chiave che non apre, né spiega, ma inchioda retroattivamente all’atto della lettura. Lettura di una scrittura che si identifica come un forsennare, un perdere la ragione alla prima persona singolare, da camera, come nella musica da camera, con una voce solista che risuona e si perde in una stanza «anecoica», come nella camera d’isolamento contro cui sbatte la cantilena forsennata: diciassette forse diciotto sentenze che danzano metricamente intorno a versi brevi e a rime baciate (qui per esempio gli ottonari alternati ai quinari: «Forsennare l’animale / È cosa ingrata, / Non saprei se prelibata / Certo illibata, / Nella sua stupidità») per istupidire la ragione fino a spremerle fuori il suono. Nei diciassette, forse diciotto, passi (il diciottesimo sul vuoto) il forsennare si contorce e diventa transitivo sugli oggetti che perimetrano la camera (il televisore, la piantana, la libreria, il letto…), la residente (il piede, il dito, la noia, il sentimento…), le relazioni di potere (la maestra). Le frasette, le rime sciocche si gettano goffamente contro lo schermo bianco della parete (del foglio) come macchie di Rorschach affannosamente alla rincorsa di un’interpretazione impossibile, una definizione del soggetto che è sempre un «mentire»: quotidiano o meno non importa; il quotidiano può anche essere forcluso perché non c’è passaggio del tempo (nella camera), né memoria di ciò che poteva essere prima (della camera), né aspettative di ciò che potrebbe venire dopo (della camera). Il balbettìo delle rime scandisce il ritmo del forsennamento, ma uscire dalla logica non equivale a uscire dal significato, uscire dalla rappresentazione non equivale a uscire dal dolore: significa martirizzare il foglio, la lingua, il corpo. Quel foglio che assomiglia in modo così impressionante al corpo martirizzato. Quella silloge che si sfoglia come una sindone.

            Allora ecco che il DIARIO può aprirsi come una straziante, ingenua velleità di contatto («Scriverò una lettera / a Tutte le persone / che hanno parlato / con me almeno / Una volta»), apertura negata immediatamente dal testo successivo, dove si accampa un sentire/non sentire nemmeno se stessa, un’anestesia dell’abisso da cui è esiliato il piacere. Il tu manca e al suo posto c’è un inevitabile “parlare per te” senza tempo e senza luogo se non l’«accortezza», che più che un “essere accorto” appare più un “essere a corto” di sostegno e di coordinate.

            Nella sezione centrale è messo in scena il crollo: la mancanza di sostegno si spalanca a una catabasi, in cui «cercar pace» può darsi solo nella dimensione del sotterraneo, dove agonizzano larve nutrienti e si protendono radici da proteggere, dove l’attimo di equilibro permette di rimanere seduta sospesa senza gravità sulla voragine. Questo cercare «di non pesare», anche se «sempre – si sa – / è il ventre che ti sillaba / la gravità», lima il soggetto fino a ridurlo a una «silhouette» fantomale, una «ameba» trasparente, un «guscio vuoto», una tabula rasa e afasica, dove canto e «apnea», risalita e «caduta» si annullano in un rollio nevrotico per generare il doppio, unico possibile e potente tu a cui rilanciare ogni atto d’interrogazione: «dove abiti?», «da cosa ripulisci?», «perché non ti fermi?… M la bambina, M il mostro, che vuole far male e forse curare, che fa paura e forse intende rubare, che potrebbe uccidere o forse porta via tutto il disgustoso che ci costituisce, irride «senza domande e senza risposte», idolo insopportabile e delizioso a giustificare il salto nel vuoto che permette al rischio di incarnarsi e alla morte di passeggiare liberamente tra le parole. (Maria Luisa Vezzali)

 

 

 

 

 

Dania Grechi nasce a Lugo di Romagna (RA), vive e studia a Bologna. La sua scrittura si nutre di privazione e intermedialità: pratica teatrale, studi vocali, disegno e arti visive le sue cifre. Ha debuttato in teatro per l’Antigone, regia di Marco Baliani, presentata in Prima Nazionale al Festival di Teatro Antico di Veleia 2022 e preso parte come performer in Edipo. Corpo di Sangue, dall’Edipo Re di Hermann Nitsch, diretta da Andrea Cramarossa (Teatro delle Bambole) presso Fondazione Morra di Napoli. Ha collaborato con Roberto Paci Dalò (USMARADIO) per FUNKHAUS HEINER MüLLER, performance radiofonica realizzata presso la Mole Vanvitelliana di Ancona per Acusmatiq Festival 2021 e a KIN, progetto radiofonico/performativo realizzato per Santarcangelo Festival 2050. Nel 2021 è stato selezionato ed esposto un suo manifesto per POST, CHEAP – Street Poster Art Festival, a Bologna. Attualmente frequenta la magistrale DAMS Teatro a Bologna. Agonìa Selvatica, silloge poetica, ha ricevuto il premio del Presidente della Giuria di Bologna in Lettere 2022.