Premio Bologna in Lettere 2022 – Adriana Tasin – Nota critica di Patrizia Sardisco

Premio Bologna in Lettere 2022 – Adriana Tasin – Nota critica di Patrizia Sardisco

 

 

 

PREMIO BOLOGNA IN LETTERE

VIII edizione 2022

 

SEZIONE B 

(Raccolte inedite)

La giuria formata da

Alessandro Canzian, Clery Celeste, Giusi Drago

Daniele Poletti, Patrizia Sardisco

conferisce una segnalazione di merito a

Adriana Tasin

per l’opera

Sopra vivenze

 

 

 

Contro ogni legge fisica che il peso che porta detterebbe, e mentre la prosaicità del quotidiano strattona da ogni lato a dissuadere dal soffermarsi a cogliere comunioni, epifanie e stupore, il poeta, l’orecchio teso al buio, sente «cose che nessuno sente» e non le abbandona alla dimenticanza, ma ne tenta semmai l’ardua scalata.

Senso di comunione, epifania e stupore, in questo convincente lavoro dell’autrice trentina, caratterizzato da testi brevi che alternano un andamento a volte prosastico a un certo sperimentalismo (versi brevi e lunghi, ricerca di forme atte a dilatare anche visualmente segno e significato),  vengono incontro al lettore, non a caso, da una natura che si dà attraverso la presenza magnifica, altissima, della montagna, paesaggio interiorizzato e scenario di soverchiante bellezza oltre che d’inesauribile potenza metaforica: rocce, crepe, abissi, vette, cigli, pareti assolate e cristalli di neve ma, anche, corde, nodi, chiodi, contribuiscono qui alla rappresentazione di un percorso in arrampicata che culmina nello spalancarsi di nuovo ascolto, di nuova visione, di un diverso interrogarsi e infine riconoscersi.

La vita, «il salto impareggiabile della vita», trasloco di sosta in sosta, equilibrio tra avanzamenti e arretramenti, è colta nel suo procedere per virtù di pazienza e determinazione, coraggio e, a giudicare dallo scartare fulmineo delle chiuse di certi testi, consistenti dosi di autoironia. Ma è solo in un altissimo luogo d’esilio, in una posizione sovrastante, che «l’appianamento dei crucci» sembra rendersi possibile, e può accadere (quasi fosse lo sprofondarsi di una montagna e delle sue stesse fondamenta, in una sorta di orogenesi al rovescio) – accade – al passaggio di una eloquente, «maestosa cerva»: solo allora «l’anima si sparpaglia» e finalmente può davvero osare, può vivere allontanando la bestia cui il soggetto poetico attribuisce il nome (in maiuscolo nel testo) di Paura. Da un faticoso distanziamento, da quelle vette, la poesia, il canto, sembra dirci Adriana Tasin, è in grado di incidere la corteccia invernale del dolore, dello spavento, germinando dai «chiodi/punti piantati nelle mani che germogliano canti»: la poesia può essere lo sguardo che salva, guadagnando orizzonte e respiro da una distanza verticale, per cui «cercare sempre/più in alto il grido»,  determina, per il soggetto lirico, la possibilità di dirsi «sporto sull’abisso» e di poterne nominare le profondità, le stratificazioni.

Va notato, peraltro, come la ricerca di un tale, fondamentale, distanziamento sia rilevabile non soltanto nella scelta dello scenario paesaggistico ma anche, e forse non meno incisivamente, nell’opzione dell’io lirico di rivolgersi a un tu, a una controparte con la quale intessere un dialogo, dunque una relazione con un soggetto che, per nella dimensione di un io moltiplicato, rappresenta comunque una alterità.

Dall’autrice al soggetto lirico al tu che viene nominato, e di cui si riportano posture, gesti, fatiche e rovelli, è un distanziarsi sottraendo peso, «che cosa ne pensi del diventare tu, qui, eternamente filo di neve?», un disperdersi, in un impeto, infine, fusionale: «sei paesaggio e ti confondi nell’immenso».

Nell’ultimo, bellissimo testo, in sovrapposizione i «profili/dei monti e dei morti», con i due termini in illuminante assonanza, traducono una larga e al contempo profonda, stratificata appartenenza, ora per il poeta finalmente riconoscibile. In posizione centrale, il termine “cerchi” interroga il lettore: è voce del verbo cercare o del verbo cerchiare? Affascinante è il bilico della polisemia, ineludibile l’oscillazione del pensiero tra le due chiavi semantiche, finché questo “cerchiare cercando” di colpo non appare mimesi di uno sguardo che include, inscrive il tu poetico in una eternità che leopardianamente ha un respiro di mare.  Ed è interessante, in ultimo, rilevare come la sola altra occorrenza del sostantivo eternità sia rinvenibile, significativamente, nel primo testo della silloge, come a sigillare in una struttura ad anello l’attraversamento compiuto e la dispersione del soggetto poetico in quello spazio-tempo infinito che, per appartenenza, per aspirazione, per fatica d’ascesa, irrimediabilmente gli trema dentro. (Patrizia Sardisco)

 

 

Adriana Tasin (Tione di Trento, 1959) vive a Madonna di Campiglio; laureata in Scienze Naturali ha insegnato a lungo discipline scientifiche alla SSPG. Dal 2011 al 2014 ha frequentato corsi di scrittura creativa tenuti da Giulio Mozzi a Trento. Nel 2017 ha frequentato la Scuola di scrittura Virginia Woolf a Padova. Si è dedicata per molto tempo alla prosa, scrivendo racconti. Negli ultimi anni ha focalizzato l’attenzione sulla produzione poetica. Molti dei suoi testi, editi e inediti, hanno avuto riscontri positivi in importanti concorsi a carattere nazionale e appaiono in riviste, antologie, e blog letterari. Ha pubblicato la raccolta poetica d’esordio Il gesto è compiuto, puntoacapo Editrice, nel gennaio 2020, e la seconda raccolta poetica, Fatti reali e immaginari, Arcipelago itaca Edizioni, nel maggio 2022.