PREMIO BOLOGNA IN LETTERE
VIII edizione 2022
SEZIONE A
(Opere edite)
La giuria formata da
Daniele Barbieri, Enzo Campi, Sonia Caporossi,
Laura Liberale, Marilena Renda, Enea Roversi
conferisce una segnalazione di merito a
Maddalena Bergamin,
L’ultima volta in Italia (Interlinea)
Chi ha detto che questo è il paese
del mare non sa delle nostre giornate
su tangenziali padane, della periferia
latina malmessa e delle grigie ore
che ci separano dalla vista del sole
Non sa di come sia estranea alla nostra
la vita che di noi si racconta
È questo l’esergo della seconda raccolta poetica di Maddalena Bergamin, “L’ultima volta in Italia” (Interlinea, 2017), ad apertura della prima sezione del libro: “Lo sbalzo, la linea”. Bergamin è padovana d’origine e l’Italia in cui subito, “brutalmente” ci scaraventa è quella della miserabile provincia cementificata, asfaltata, immersa in una nebbia densa da cui emergono tangenziali e centri commerciali; quell’Italia che, allargando lo sguardo oltre la pianura padana, santifica i papi e opera una rapida rimozione degli incidenti che potrebbero far gridare al “contro-miracolo”, come la croce in onore di Wojtyla crollata su un ragazzo in gita.
Nella seconda sezione, “Il passaggio di vetro”, l’occhio poetico si stringe “clinicamente” su istantanee di vita quotidiana, come questa:
Il giorno che il decoder si guastò
risucchiati quasi implosero
stupefatti dalla tovaglia contro i piatti
e la colpa fu chiaro solo allora
era di tutti persino degli assenti:
lasciare scivolare queste membra
e sciogliersi pur di non vedersi.
Il campo semantico è quello del vetro, appunto: le schegge, la fragilità, ma anche la durezza e la forza attingibili mediante tempratura (passaggio nel fuoco e repentino raffreddamento), come desumiamo da “La trempe du verre est destinée à en renforcer les propriétés mécaniques”, testo in francese con traduzione italiana (ricordo che Bergamin insegna italiano alla Sorbona).
La voce della terza sezione, “I dolori piccoli (quelli delle caviglie e dei polsi)”, nei suoi testi iniziali, è una voce amorosa, rivolta a un tu, nell’eterno topos del viaggio, della distanza, del ricongiungimento; ma è voce che dirotta subitaneamente altrove: dai dirupi che si spalancano dietro le convenzioni sociali (Se tutto va bene poi si sta male/dopo le strette di mano, le pacche/le forti emozioni si aprono valli/di vuoto, strapiombi, desolazioni […]) e letterarie (Si difendono ai divani/tre o quattro intellettuali/la questione della lingua/il métissage delle culture/sono cose che si danno/come fiori dai balconi/come i baci sui portoni/come sconti ai debitori), fino all’affermazione di una vera e propria postura nel mondo:
Da molto tempo non mi capita
una malinconia, ho abbandonato
persino la nostalgia, sono sentimenti
a mezz’asta, di chi fa finta di essere vecchio
E a un certo punto non basta
più per darsi un tono, simularsi
in questo abbandono, bisogna
prendere atto del proprio distacco
Lasciarla andare la posa,
e disperarsi fino in fondo
non c’è altra maniera
di stare nel mondo.
Una postura che, se da un lato proclama la santa legittimità della disperazione, dall’altro sussurra l’abbandono al divenire, ai suoi flutti, l’accettazione dell’oblio e della dissoluzione, ma anche il godimento dell’incontro con l’altro, col suo vivo corpo senziente:
Perdersi, sottrarsi
lasciarsi dimenticare dal mondo
Prima di morire voltarsi
farsi pietra, sgretolarsi
***
ma che scelta
abbiamo d’altronde se non
di abbandonarci alle onde
per quel poco quel poco
che resta di benzina
sul fuoco, per quel pezzo
di niente senza mente
per la pelle dell’altro
finché sente
L’ultima sezione del libro, “Scoppieranno anche queste stagioni”, è davvero un compendio dei temi sino a qui toccati: il paesaggio desolato e desolante, le finzioni pubbliche, la metafora del vetro e, soprattutto, l’amore, nella sua luminosa e infraintendibile dichiarazione (musicalissima peraltro, in decasillabi, come l’amore merita).
Scoppieranno anche queste stagioni
per averci stancati abbastanza
e andremo con gli occhi che bruciano
verso il sole che fiacca la schiena.
Tornerò per vedere che tremi
con dell’acqua da metterti in fronte,
anche il freddo a quel punto sarà
l’argomento più dolce e più vero
nella nebbia che fischia faremo
una foto dei nostri capelli
e la sera andrà incontro al mattino
per spiarci quando il sonno ci svela.
(Laura Liberale)
Maddalena Bergamin è nata a Padova nel 1986. Dopo gli studi in letteratura all’Università Ca’ Foscari di Venezia e alla Sapienza di Roma, ha conseguito un dottorato di ricerca a Paris-Sorbonne. Vive a Parigi e si occupa prevalentemente di poesia contemporanea e psicoanalisi. Svolge inoltre l’attività di curatrice d’arte contemporanea.
Ha pubblicato il suo primo libro di poesia, Comunque, la pioggia, per Perrone nel 2008. Nel 2014, la sua raccolta Scoppieranno anche queste stagioni, è stata inclusa nel XII Quaderno di poesia italiana contemporanea (Marcos y Marcos), con una prefazione di Fabio Pusterla. Del 2017 il suo secondo libro, L’ultima volta in Italia, pubblicato da Interlinea. Sue poesie sono inoltre incluse in diverse antologie e partecipa al progetto “Non solo muse”, ideato da Adele Bardazzi e Roberto Binetti, sostenuto dall’Università di Oxford.