La distinzione (Perrone, 2023) di GILDA POLICASTRO è un libro proteiforme, in cui le varie sezioni più che isolare nuclei tematici sperimentano stili diversi. Si passa così da componimenti lunghi a flussi di coscienza sviluppati in un unico periodo torrenziale impaginato a blocchetto, da distici isolati a brevi strofe affioranti dalla pagina bianca. Anche il punto di vista si sposta continuamente, alternando monologhi in prima persona, una coralità o pluralità di voci e una voce narrante spesso interrotta da altre. Abbonda il fenomeno del code-switching, con l’italiano che lascia spazio a francese, inglese, latino e romanesco. Si avvicendano poi vari registri, dal burocratese, con l’uso ironico degli elenchi numerati, ai colloquialismi, ai linguaggi settoriali, specie il gergo medico e la lingua informatico-tecnologica. Tutti stilemi propri della scrittura di ricerca a cui si aggiungono altre marche già ben individuate da Roberto Batisti, come le sanguinetiane interruzioni in parentesi e gli avverbi o locuzioni avverbiali in posizione attributiva. Le auctoritates, citate direttamente o da scoprire con soluzioni nelle note finali, sono classici e contemporanei, dal Thomas Mann della Montagna incantata alle poesie operaie di Di Ruscio, da Sarah Kane di Psicosi delle 4: 48 al romanzo Fame di Knut Hamsun, con un possibile riferimento cinematografico a Pi greco di Darren Aronofsky. Se la poesia, lo si dice spesso, è sottrazione, qui si riceve un’impressione di sovrabbondanza, ma non c’è mai del superfluo in questa scrittura sapiente. A dare omogeneità alla silloge sono i temi da sempre cruciali nella produzione di Gilda. Li troviamo espressamente citati nella poesia “GP(T)-3” che si apre con l’istruzione: “Scrivi una poesia sulla malattia, gli ospedali, la morte”, rivolta sia agli algoritmi dell’Intelligenza Artificiale sia a sé stessa. La malattia di cui si parla qui è sia fisica sia mentale, con particolare attenzione al Covid e al suo portato sociologico, nonché alla depressione, con il suo corredo di luoghi comuni, anche sprezzanti, e gustosi neologismi: depressopoli, depressometro, ecc. Pervasivo è il tema della morte che, sempre intrecciata alla vita, diventa più minacciosa con la malattia e nel luogo dell’ospedale, morte che spesso è volontaria anche se nessun suicida, si scrive, vorrebbe mai . E infine l’ospedale, che Gilda definisce suo luogo totemico, collettore di storie e livella che anticipa quella definitiva, è protagonista assoluto della sezione “Histoire d’H”, Histoire d’Hôpital, con un rimando al romanzo di Dominique Aury che ne suggerisce l’attrattiva (si parla peraltro di rapporti sadomasochistici al suo interno). A questi temi si aggiungono poi quelli del lavoro (la prima poesia dal titolo “Precari” è perfetta per un libro che indaga la precarietà dell’esistenza) e del mondo della poesia, qui bersaglio dell’ironia tipica dell’autrice. Il libro si chiude infatti in bellezza con una sfilza di luoghi comuni che sembra un condensato di post di facebook spremuto da quella che Gilda usa definire la mia bolla per terminare con un bel fine poesia mai. (Francesca Del Moro)