Dimitri Milleri
Dopo il bel saggio d’esordio offerto dalla silloge poetica Sistemi (Interno Poesia, 2020), in cui, come correttamente rileva Maria Borio nella prefazione «troviamo un giovanissimo che sicuramente pensa a un nuovo stare, pieno e consapevole, della poesia nel contemporaneo», la scrittura di Dimitri Milleri avanza con piglio sicuro nel proprio percorso evolutivo, rivelando un endocosmo autoriale in stato di costante ebollizione. Se, come Christian Friedrich Hebbel annotava nel suo Tagebücher, «il sonno è un rituffarsi nel caos», L’uomo che dorme e Storia naturale dell’enigma (entrambi afferenti al progetto unitario Nel Pieno di Nor, incluso nel XVI Quaderno di poesia contemporanea) comprovano la ferma volontà di Milleri nel proseguire, mutatis mutandis, nella già rilevata da Borio «esplorazione fisica e metafisica della vita», immergendosi nella realtà psichica al fine di decodificarne il crittogramma caos-genetico. Nei testi del primo blocco, la parola di Milleri, muovendosi con fluida disinvoltura tra prosa e poesia, si fa diegesi onironautica, affabulatoria composizione di visionari tableaux vivent di sapore lynchiano, circonfusi e fibrillati da un’aura burroughsiana generatrice di sensi multipli e sospesi, efficacemente coadiuvata a tal fine dalla carica polisemica di evocative combinazioni lessicali nonché da mirate eclissi interpuntive che manipolano semanticamente la sintassi. «Precipitando da una sedia sul tavolino, l’uomo che dorme è arrivato qui, fra noi». Un’epifania per via di anticatasterizzazione, quella dell’uomo che dorme, disarmante preludio allo studio fenomenologico («Per prima cosa ha firmato delle giustificazioni, poi ha disposto la diavolina nel camino – perdeva muschio dalla testa, le pupille al riparo della luce»), all’indagine cinesico-prossemica («Intanto, l’uomo che dorme ha mosso l’alluce destro – i denti e la pianta dei piedi neri, le braccia tese lungo il tronco sudato») e all’analisi psicologica per parallelismi antitetici («L’uomo che dorme conquista/e poi scompare,/si duplica e scappa») di quest’entità simbolica, lucidamente immortalata da un noi antilirico tanto nel suo esistere nel mondo, ovvero nei lacerti di una realtà destrutturata («Per un attimo l’ago il punto di luce e di nuovo un residuo, nella cornice anonima del bagno»), quanto nelle sue interazioni situate, ossia nel suo posizionamento, ambiguamente anomalo, nello spazio sociale reificato («Restano oggetti le persone,/se ne circonda e le maneggia/come fa con il computer, la TV»). In Storia naturale dell’enigma, per converso, il racconto emblematico trasmuta in narrazione dialogica e reminiscente, unidirezionalmente protesa dall’io verso un’interlocutrice (cristallizzata forse nella A. che accompagna il titolo di pliniana memoria) che, nel fluire del testo, da allocutivo pronome di richiamo si fa gradualmente corporeità motrice, agente alterante e potenziante dell’io e della realtà prossimale: «Quando ci sei, le stanze si trasformano. Vedo come è davvero il mobile del bagno, lentamente lo sposti per prendere un assorbente. Respiro meglio, ci viene voglia di nuovo». In un nuovo avvicendarsi di prose e versi, l’osservazione della natura, anche antropizzata, si contamina con l’osservazione dell’enigma della natura umana e dell’interazione, in una istintiva tensione, potenzialmente decriptante, all’incastro perfetto con l’altro da sé: «Ho degli spasmi a volte e sento di cadere/ma i corpi sono caldissimi, quasi complementari». (Maria Laura Valente)