Nella raccolta di Enza Silvestrini L’assedio (Ensemble Edizioni, 2021) c’è un testo, particolarmente intenso, che inizia con il verso quando le madri ci vestivano di rosso.
È la stessa autrice, nelle note in calce alla raccolta, a spiegarne il significato: “La poesia quando le madri ci vestivano di rosso si riferisce all’abitudine di vestire di rosso i bambini migranti prima della traversata in mare affinché, in caso di naufragio, siano più visibili tra le onde. È un estremo gesto d’amore, esile protezione contro la furia del mare.”
Il mare, teatro di traversate e naufragi, è il filo che lega l’intera raccolta: è l’elemento vitale, ma che può diventare feroce strumento di morte, elemento che assedia ed è a propria volta assediato.
Nei testi di Silvestrini il mare è, di volta in volta, deserto d’acqua senza fondo e fine – una massa spuria assediata da nudità ferrose – un deserto sospetto / anonima mitezza celeste.
È in questo scenario che si muove la massa di donne, uomini e bambini in fuga dai loro paesi verso l’Europa: una massa di esseri umani che la cronaca, banalizzando, chiama naufraghi, profughi o migranti e che una certa politica chiama clandestini.
Dove il termine clandestino non è inteso come nascosto, ma assume il significato di illegale, vietato, come se a certi esseri umani dovesse essere vietato vivere o addirittura cercare di sopravvivere, come se il viaggio di dolore intrapreso con rischi enormi, mettendo a repentaglio la propria vita, fosse finalizzato a entrare in un altro paese con il solo scopo di delinquere.
Tristi tempi questi nostri, nei quali gli esseri umani sono null’altro che miseri numeri.
Enza Silvestrini, nei suoi testi, parla della disperazione di questi esseri umani per i quali, durante il viaggio, diventa indifferente la sorte: ci sono, in questi versi, ed è inevitabile dato il tema trattato, alcune immagini forti, quali ad esempio ti depongo in una bara d’acqua / dove tutto è smemorato / senza nomi oppure forse ormai tutto è acqua / e solo i morti respirano ancora e anche e se ci troveranno in un altro secolo / inseparati in fondo al mare / con ossa e carne trafitti / il corpo disseccato dal sale.
Gli elementi naturali come l’acqua, il sale, la roccia, il vento, la terra fanno da contrappunto agli eventi tragici che si succedono in quel tratto di mare vicino a noi che è diventato un cimitero di corpi senza nome.
E anche il corpo (anzi, i corpi) ha (hanno) un ruolo importante nella poetica di Enza Silvestrini: lo si è visto nel verso appena citato che fa riferimento al corpo disseccato dal sale, ma vi sono numerosi altri esempi all’interno de L’assedio, come tutti i corpi murati nella nave / diventano un unico corpo / traspirante scintille d’aria.
C’è, in questa raccolta, una ricorrente tensione: non sono soltanto i cuori a pulsare, ma anche le anime respirano e poi c’è il mare in agitazione, c’è il sangue, ci sono le urla anche quando non le sentiamo.
Questa tensione e questa pulsione, unite al senso di disperazione e di rabbia che pervade l’intera raccolta sono a mio avviso i segni caratteristici della poesia di Enza Silvestrini, che, per chi ama le catalogazioni, potremmo definire poesia civile.
Da parte mia, che personalmente non amo le catalogazioni, dico solo che se per poesia civile s’intende poesia che smuove le coscienze, beh, allora quella di Enza Silvestrini lo è di certo. (Enea Roversi)