Premio Bologna in Lettere 2023 – Stefano Solaro – Nota critica di Michela Gorini

Premio Bologna in Lettere 2023

Sezione B (Raccolte inedite)

Nota critica su Stefano Solaro, Otto tipi di insetti

 

 

Otto tipi di insetti si apre con una parola, Impotenza. Ruminarla, dice l’autore, farla fermentare rimasticandola, digerirla prima di inghiottire. Ruminare presuppone un movimento, ripetitivo, dato da una posizione, ecco che compare qui una forza uniforme e pre-potente di quest’opera: la forza finale della resa. Che si declina come stasi, immutato. Qualcosa che concerne, in effetti, un divenire che in qualche modo Solaro ignora. Qualcosa che ripercorre un legame fattosi distanza che l’autore assume come vera, nello stagliarsi del tempo, da un Prima a un Epilogo, il realizzarsi di tale premessa di impotenza lungo tutta l’opera, come se a volte non si dovesse vivere / ma potessimo invece scappare / nel visto. Certo, il visto (oggetto) serve anche per passare, attraversare un confine, fuori, verso l’altro. E il visto (participio passato) è anche misura di ripetitività, di scongiuro dell’ignoto e, allo stesso tempo, anche il visibile dalla finestra per ora in costruzione, dunque senza ipotesi di struttura che sappia nominare un eventuale.

Solaro tratta i sensi attraversando la dimensione della temporalità, segni e tracce di memoria, a tentare una ipotesi di effetto, sulla fugacità di un io pensante. Fare del proprio meglio, ma non in assoluto, scrive, mantenersi immobili, aspettando da fuori uno scossone

Il mondo, l’opera, l’operatività, stanno fuori, fuori il mondo severamente già scosso e versato / versificato, per la scrittura. Sono passaggi di finzione, contegno. Catturare una scena dov’è appesa l’attesa, come accadimento sempre oltre, ipotesi a un passaggio successivo, celebrato e mai approdato, di un noi che cade, che non riesce a i-scriversi, tu in una stanza, io nell’altra / in attesa di incontrarci in cucina.

L’autore osserva la penna scorrere sul foglio come osserva alla finestra il lavoro del cantiere, come osserva il dolore che attraversa il corpo, la terra che muove, spostata, e il suo restare fermo, la morte, la pelle, tutto con una scadenza, tutto come amara consuetudine. Tutto in una V di voragine tende a inerzia, in amara ironia, riscommetto / “da qui in poi cambia tutto.” / Anche oggi ho perso

Non potendosi spiegare il senso di una forte mancanza, Solaro si sofferma su minimi tratti quotidiani di smarrimento, dopotutto non sei un morto / di fame non sei ancora ritardato sei solo uno che pensa / non starò esagerando / a mettere tutto questo sale sul pollo, come un io che si osserva nel pensiero, lascia il morto al verso superiore e completa il seguente con la concretezza di un istinto, di sopravvivenza, che a morsi non lo divorerà, sarà semplicemente un angolo della bocca, un angolo della propria giornata da scrivere, un angolo dove non sostare.

Al centro dell’opera, sogni ed estraneità, frammenti solidi inspiegabili da ingoiare, tornare a ciò che era, il dubbio. Resterebbe la necessità di scrivere della morte, dei sogni, non essere riuscito a lasciare un niente che non sia io; si tratterebbe allora un corpo che torna a biologia, un feto / concepito mai voluto mai nato, un corpo di scrittura. Una struttura di testo da cui partire.

Torna corpo, Solaro, quando elenca i dolori, lo scricchiolio delle ginocchia, la schiena, la pelle. Torna la osservanza di corpi quando fotografa, scrivente, gli Otto tipi di insetti che hanno fatto casa sotto il suo letto. Gli insetti sono soggetto del titolo, in numero definito, matassa indefinita. Quasi a essere semplicemente corpo, sottostante, sopravvivente, che crea casa e si instaura sotto. Sopravvivere sotto, solo esistere, condizione che il poeta scrive senza alterare, osserva crescer-si, mutare senza mutarsi, il bambino adesso ha la barba / solo sul divano. Condizione di solitudine – appannaggio dell’essere umano – che attraversa tutta l’opera.

Scrivere (la scritta) non è un’uscita. Il cantiere di scrittura ne struttura il telaio. Il noi che appare e scompare resta scena da catturare in eterno: un tu in una stanza, un io nell’altra. Due tipi di un noi da trattenere senza voce, in memoria e fatalità, abbiamo giocato al gioco dei futuri / l’ho proposto io vedendoti meglio sotto al sole / ho dato a ciascuno tre opzioni poi ho scherzato / quale vuoi tra questi noi / […] hai riflettuto ad alta voce poi / ne hai preso uno / in cui il più felice ero io. (Michela Gorini)