Premio Bologna in Lettere 2023
Sezione A (Opere Edite)
Nota su Alessandro Ghignoli
Ostrakon
Anterem Edizioni
Uscito nel 2022, nella collana Nuova Limina di Anterem, Ostrakon di Alessandro Ghignoli è un libro singolare e per constatarne la singolarità basta aprirne una pagina a caso.
Cominciamo dall’inizio: la parola che dà il titolo al libro indica un frammento di pietra o di ceramica e la dedica (o frase, o verso) posta in esergo alla raccolta recita al fragore frastuono del frammento.
Troviamo quindi tre parole: fragore, frastuono, frammento che si assomigliano, per suono e per senso e che si compenetrano. Ma se fragore e frammento derivano dal latino frangĕre, che significa rompere e se frastuono ha al suo interno la parola tuono, che indica un rumore assordante, dobbiamo quindi pensare alla scrittura di Ghignoli come a una scrittura di rottura, una deflagrante esplosione, qualcosa di fragoroso e assordante insieme?
Quattro pagine più avanti ed ecco che leggiamo: THE FOLLOWING IS BASED ON A TRUE STORY -YROTS EURT A NO DESAB SI GNIWOLLOF EHT.
Dapprima un’affermazione rassicurante, a dirci che ciò che leggeremo è basato su una storia vera e poi simultaneamente la stessa frase scritta al contrario, a creare un effetto fuorviante.
La frase specchiata mi ha fatto pensare all’artista davanti allo specchio, all’uomo che riflette e che si riflette e alla sua conseguente immagine riflessa. Mi sono venuti in mente numerosi esempi di autoritratti realizzati da fotografi famosi davanti allo specchio, a creare giochi di immagini di immobilità ripetuta all’infinito.
Più di ogni altra, però, a fissarsi nel mio pensiero è stata una foto del fotografo francese René Maltête intitolata Plaisir solitaire in cui c’è un uomo dall’aria assorta, seduto davanti a una scacchiera: la scacchiera è posta su un tavolino e il tavolino è appoggiato a un enorme specchio. L’uomo sta quindi giocando a scacchi contro sé stesso, un po’ come il poeta che scrive in continua sfida contro il proprio io.
Seduto a quel tavolino, davanti a quella scacchiera, potrebbe esserci proprio Ghignoli: nel suo Ostrakon l’autore però costruisce non una semplice immagine riflessa, ma una vera e propria galleria degli specchi, come quelle dei luna park per intenderci, nella quale il lettore si ritrova a muoversi cercando un senso d’orientamento nella scrittura complessa del poeta.
Il primo testo s’intitola epistola: la nota a margine si chiede (e ci chiede): Farà fede il timbro postale? e i versi recitano gentile spettatore vorrei dirle: / ogni giorno ha la mia morte preclusa /ogni giorno ha la mia morte preclusa: quest’ultimo viene poi ripetuto\, ma scritto al contrario, secondo un canone che l’autore ama usare. Ma dove vuole quindi condurci Ghignoli?
È un percorso intricato, lungo il quale si incontrano frasi censurate, l’uso della lingua spagnola, cancellature, abrasioni, segni che rimandano alla scrittura asemantica, ma anche ad altre forme espressive quali la mail-art o il cut-up o la ricerca verbo-visuale.
Poi ci sono le immagini, che Ghignoli non usa come banale corredo al testo, bensì come parte integrante del testo stesso, seppur in forma destrutturata: ecco allora che, tra i versi, appaiono foto sfuocate, altre tagliate o fatte a brandelli, mentre altre addirittura sono presenti con la loro non presenza, come in una delle ultime pagine del libro, in cui appare la didascalia Esta imagen ha sido eliminada por motivos de seguridad.
La scrittura si fonde con l’immagine e rende omaggio a chi dell’uso delle immagini ne ha fatto un’arte: parlo del testo intitolato eidetica e dedicato a S.M. E˙jzenštejn, il grande maestro del cinema russo del secolo scorso. Qui Ghignoli inserisce frammenti di pellicola a introdurre il testo che termina con questi versi: tra pensiero e immagine parola e carne / in uno stato di quiete nella quiete / dentro il dramma.
Tutto questo a rimarcare quel senso di scrittura spiazzante e per nulla rassicurante che pervade le pagine di Ostrakon: come interpretare, ad esempio, il testo exultet mariano : (vv. 35-40 / vv. 765-770) in cui appare due volte la dicitura [manca una parte del testo]: qui il testo manca davvero o l’indicazione della sua mancanza è essa stessa il testo?
L’autore fa apparire le parole e poi le fa sparire, crea giochi ai quali invita il lettore a partecipare, salvo poi, a pagina 48, rivolgersi ad esso direttamente con queste parole: gentile lettore arrivato a questo punto dovrà decidere / se continuare o smettere di leggere questo libro e, qualche pagina dopo, inserire un post scriptum che recita: l’autore A. G. si impegna a scrivere una poesia civile dal titolo retorica dedicata ad A. G. e nell’inconfondibile e impareggiabile stile di A. G.
Il lettore è dunque avvertito: il gioco non è affatto finito, può ricominciare e moltiplicarsi all’infinito, scavare ancora più nel profondo nella parola: mi piace definire la poesia di Ghignoli come scrittura indagatrice, non so se all’autore farà piacere questa definizione.
Trovo che la sua scrittura, così labirintica e fuorviante, per certi sensi materica, abbia un forte retroterra di indagine, sempre alla scoperta di nuovi scenari.
È poesia che va oltre la poesia, scrittura che va oltre la scrittura.
Ostrakon è un libro nel quale, durante la lettura, risulta appagante orientarsi in una scrittura difficile e piena di trabocchetti, ma ancora più appagante è disorientarsi e perdersi nella poesia di Ghignoli.
(Enea Roversi)
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