Premio Bologna in Lettere 2023
Sezione A (Opere edite)
Nota critica su Diletta D’angelo
Defrost (Interno Poesia)
In una delle poesie della serie intitolata Phineas Gage, Diletta D’Angelo riferisce, con stile freddo da manuale, i cambiamenti nel comportamento avvenuti in persone che hanno subito un trauma violento. Nella fattispecie, Phineas Gage è un operaio statunitense che subì un radicale cambio di personalità dopo un incidente sul lavoro; così scrive D’Angelo: “Si parla di anatomia della violenza di radici biologiche del male e di come / alcuni individui non possano avere il pieno controllo delle azioni / non dispongano di libero arbitrio”; questo è l’explicit della poesia, che usando un procedimento anche altrove messo in atto da D’Angelo lascia cadere una bomba concettuale per poi lasciarla lì, sospesa sopra le nostre teste, in attesa che esploda. Due cose mi hanno colpita più di altre di Defrost, questo libro d’esordio di Diletta D’Angelo pubblicato per Interno Poesia: da un lato il perfetto controllo di una materia difficilissima da maneggiare (un recensore giustamente ha parlato di cuore saldo e mano ferma), dall’altro una grande capacità di sintesi, anzi per essere più precisi, di contrarre il discorso (a volte nei punti più critici) per chiudere un passaggio magari particolarmente complesso o emotivamente impossibile da chiudere. Ecco perché a volte il lettore ha l’impressione che il discorso potrebbe in effetti continuare, anche ad libitum, ma che è stato chiuso proprio in quel punto per evitare quella che è la paura più profonda del libro (ogni libro ce l’ha): il dilagare della violenza familiare, il timore che una volta rotti gli argini le piccole incrinature della superficie del quotidiano (che poi non sono piccole, per quanto la voce narrante cerchi di fare tutt’uno con la tappezzeria, e si vedrà, nel testo citato alla fine, l’enorme, possibile, suggestione visiva di Francesca Woodman) si trasformino in enormi crepe in grado di inghiottire la vita di tutti i personaggi, i disegni delle storie, gli sviluppi possibili. Il testo è disseminato non a caso di variazioni sul tema della ferita: lesioni, abrasioni, incrinature, cesure, cocci, ricuciture, bulloni piantati tra le ossa; non c’è da stupirsi se la voce che parla abbia paura anche del dilagare delle parole. Infatti, se venissero a mancare i limiti, quante cose potrebbero dire o fare le parole? Quanto male e quanto bene insieme potrebbero fare? Io, da parte mia, aspetto da Diletta altre parole, anche più ribollenti e illimitate di queste: “Ora sembra di sbattere le ossa agli architravi delle porte di ogni stanza / la clavicola le costole l’anca le falangi delle dita frantumate piano / senza usare la forza / A quelle porte mi appoggiavo con lo sterno e la fronte / entravo nel legno a cercargli le radici / una notte lo stipite mi spaccò in due la testa / le scosse della terra disorientano / le scosse della terra a volte ossigenano”. Le aspetto veramente. (Marilena Renda)