Bologna in Lettere 2024
Le note introduttive
Enea Roversi vs Mauro Ferrari
Strano destino quello del poeta che è contemporaneamente editore: di lui si dice in genere che è anche poeta, dimenticando quello che è il suo curriculum letterario.
Mauro Ferrari, per esempio, che è direttore editoriale di puntoacapo Editrice, ha pubblicato la sua prima raccolta nel lontano 1989, ha fondato e diretto una rivista letteraria ed è stato redattore di altre riviste, ha scritto saggi, curato antologie, pubblicato vari libri di poesia e si è occupato di diversi autori di lingua inglese.
Il Mauro Ferrari poeta, dunque, è quello che ci interessa oggi e più precisamente quello di Seracchi e morene, la sua ultima raccolta, uscita nel 2024 presso l’editore Passigli.
Il titolo della raccolta evoca la Natura, quella dei ghiacciai in movimento, con la formazione di crepacci e il mescolarsi della terra al ghiaccio.
I cambiamenti della Natura seguono i cambiamenti dell’uomo: si sovrappongono gli uni agli altri. È difficile stare al passo con essi ed è impossibile ignorarli. Eppure, si può far finta che nulla accada, là fuori e nascondere, attraverso una pietosa bugia, la verità a una madre anziana e sofferente: «Che dirle, come dirle / che tutto fuori come noi va in polvere / impercettibilmente» si chiede il poeta nel testo intitolato Mamma.
Meglio quindi non dirle nulla, rispettarne la quiete e tenerla lontana da scomode verità che in realtà si conoscono: «No, là fuori si sciolgono i ghiacciai, / non oso dirle, la terra si sfarina in polvere, / qualcuno muore ed altri fingono / di vivere, ma io devo scappare, /tu resta qui, al riparo.».
Il tono dolente di Ferrari è reso con pudore e con sincero affetto: il linguaggio è ricco e stratificato, ma sa essere asciutto là dove serve. Si sente in questi versi la presenza della tradizione poetica italiana del Novecento: è un bagaglio che chiunque appartenga a una certa generazione si porta dietro. Ferrari lo sa e non lo nasconde, ma neppure lo sbandiera: elabora invece sapientemente questo bagaglio, adattandolo al momento che stiamo vivendo.
Ne nasce una scrittura evocativa, a tratti malinconica, eppure l’occhio del poeta è sempre attento al reale, lo sguardo è costantemente puntato verso ciò che accade.
E se è pur vero che fanno la loro comparsa in questi testi parole che sembrano uscire da un vecchio cassetto dei ricordi (aquilegia, chimera, genziana) è vero anche che qui si parla della vita che scorre e dei mali che la affliggono e lo si fa senza ipocrisia alcuna, con essenziale realismo.
I seracchi (blocchi di ghiaccio che si formano durante i movimenti dei ghiacciai) e le morene (gli accumuli di materiali rocciosi e terrosi trasportati dagli stessi ghiacciai) che Ferrari prende come riferimento rendono alla perfezione l’immagine dello scorrere quotidiano, dove i detriti rocciosi e i crepacci rappresentano le brutture e le ansie con le quali ognuno di noi deve fare i conti ogni giorno.
«Ma osserva la morena terminale / per apprezzare il lento metodico / lavoro di Shiva: il ghiaccio che sgretola, / il vento e la pioggia che rodono / istante su istante» c’è in questi versi tutto il senso del lento, ma implacabile rodere del tempo.
Forse che al poeta non resti altro che sognare? «Se chiudo gli occhi posso sognare / che il mondo non esista più».
Dopo il sogno c’è sempre il brusco ritorno alla realtà: «(Ma ad occhi chiusi ancora sento / con la certezza dell’immaginazione / uno strisciare, un appostarsi silenzioso: / le forze dell’ordine al lavoro, / mandibole frenetiche che mordono l’aria.)» si vive il presente e si pensa al futuro senza facili illusioni e così, come dice il poeta «Tragicamente, crediamo nel domani.».