Bologna in Lettere 2024
Le note introduttive
Maria Laura Valente vs Alessandra Corbetta
«C’è da fare un passo indietro per restare allineati nel cerchio»
Abitare la retrospezione.
Crittografie retroattive nella poetica di Alessandra Corbetta
Nell’ipotesi di un’eventuale trasposizione filmica delle poesie di Alessandra Corbetta – la cui distribuzione per l’home video andrebbe gestita in rigoroso nineties style, ossia in videocassetta – nella composizione del soundtrack non dovrebbe per alcuna ragione mancare l’album di esordio dei Baustelle, Sussidiario illustrato della giovinezza, uscito nel 2000 per l’etichetta indipendente Baracca&Burattini, la cui tracklist si percorre in compagnia di un Francesco Bianconi prima maniera, all’epoca fine poeta, il cui retroagire si inabissa, per dirla con Benjamin, in un passato (quello degli anni Ottanta) che non è mai passato e in un presente che non è mai futuro.
Mutatis mutandis (shiftando in avanti di una decade l’orologio mnestico, tanto per cominciare, ma non solo), in quest’album è possibile triangolare alcune coordinate essenziali a orientarsi nella poetica corbettiana.
Difatti, nei suoi recenti inediti che s’innestano nel solco di ricerca tracciato con Estate corsara (puntoacapo Editrice, 2022), Corbetta riprende, ripensa e approfondisce le cifre distintive della sua scrittura in versi.
Alla stregua di diapositive che si susseguono ritmicamente su uno schermo retroilluminato, le immagini verbali evocate dai testi rivelano i tratti di un presente imperfetto che costantemente muta, in morphing retrospettivo, in un passato che, in virtù del suo darsi come chiave di decriptazione dell’hic et nunc, rivendica il diritto alla permanenza.
L’attuale, del resto, oltre che criptico si è rivelato tutt’altro che leggero, gravato com’è da tutto il suo portato di adultità – lemma attualmente tanto controverso quanto à la page, autentica parola d’autore in accezione miglioriniana, giacché la sua genealogia origina da Alberto Savinio, alias Andrea de Chirico – («Ora qui sono bollette / e tazze sporche da lavare») e dalle conseguenti spazialità asfittiche che soffocano tanto gli esterni («Hanno ridotto la nostra geografia») quanto gli interni («qui abitare è stare a forza / dentro quattro mura silenziose»).
E così, se l’individuo (adulto), in deleuziano ritardo, è ormai intrappolato nell’oggi («Abbiamo tardato – questo è chiaro»); e se, dopo il gioco profetico del keep & toss («Quell’estate abbiamo scelto / cosa avremmo tenuto e cosa perso»), nulla del passato più rimane («Abbiamo lasciato andare tutto») e nulla del presente ci racconta («Volevamo raccontare un’altra storia»), non resta che volgere indietro lo sguardo e dimorare nelle spazialità ariose e nelle geometrie salvifiche della retrospezione.
Attenzione, però.
Nella poetica di Corbetta, è bene chiarirlo, a retrospective state of mind non significa inerte stagnazione in tempore acto. La retrospezione corbettiana è pratica illuminata e illuminante, nonché soterica, giacché, attraverso il filtro della sua emblematizzazione oracolare retroattiva (dalla ruota panoramica alla giocoleria del diablo, passando per il gioco del cerchio), le dinamiche del presente si chiarificano e, nel bene o nel male, tutto acquista un senso, nella consapevolezza che: «Dietro le cose qualcuno ci stava aspettando». (Maria Laura Valente)