Nerio Vespertin vs Monica Zanon

Bologna in Lettere 2024

Le note introduttive

Nerio Vespertin vs Monica Zanon

 

Scriveva Italo Calvino: “Volare è una discontinuità dello spazio, sparisci nel vuoto, accetti di non essere in nessun luogo per una durata che è anch’essa una specie di vuoto nel tempo; poi riappari, in un luogo e in un momento senza rapporto col dove e col quando in cui eri sparito”.

Il volo quindi, è un momento di catarsi, una specie di metamorfosi dove attuare l’evoluzione del sé, sorvolando gli ostacoli del tempo e dello spazio.

Poesia di crescita e trasformazione, perché del volo, quindi dell’attesa e del recupero di sé, è quella che Monica Zanon presenta nelle sue poesie di oggi, estratte dalla silloge “Vuoti d’aria”. Partendo da immagini di un passato rarefatto e costretto dentro limiti simbolici, appena accennati, i versi che ci propone sono un continuo anelito verso la pace e la libertà dell’aria, elemento centrale di ogni componimento. Che sia il substrato del movimento (“ci tiene in equilibrio sopra la terra/ un fremito il vuoto d’aria”) o un elemento di dissolvenza (“sono diventata donna/ tra le nuvole”) o ancora una parte vitale della vita biologica (“l’aria è sorte ineludibile”), l’aria è sempre presente, cercando la sua via attraverso le crepe, combattendo contro la pesantezza delle costrizioni umane.

La poetessa va alla ricerca di questi spazi, definiti erroneamente nel parlato comune come ‘vuoti’, giacché, come spiega nell’introduzione stessa al testo, non esiste qualcosa come ‘un vuoto d’aria’: l’aria è libertà, dunque presenza e vita.

Ma allora a cosa fa riferimento il vuoto delle sue poesie?

In contrapposizione alla libertà e alla leggerezza del vento, il vuoto fa capolino dietro ogni verso, viene nominato ben diciannove volte fra le sue pagine e si fa portavoce crudele delle mancanze dell’io (“ogni esperienza è la soluzione/ alla sollecitudine dei vuoti”).

In questo senso, l’immagine del volo diviene la metafora del tentativo di risanare la frattura fra vita e sua negazione, fra natura e artificialità: un anelito a tratti stentoreo, incapace di decollare senza pericolo, a tratti forte di grandi slanci(“Mi trovo tra le ombre di passaggi radenti/ mi scuoto al decollo dei cigni sul Lago/ come un’onda che ne scavalca un’altra”).

Si alternano casualmente gli artifici umani per metterlo in atto (aeronautica, hovering ecc..) e i ‘voli’ della fantasia, motivati spesso da richiami fanciulleschi (“Sono il filo che cuce le ali/ giocando con l’equilibrio dell’acrobata”).

Il confronto fra natura e costruzione umana, suggerito in molte altre poesie, amplifica la profondità di questa distanza, fra l’ego e il suo completamento.

Con la natura che si avvicina, che consola e asciuga i dolori (“perdiamoci nel fango a giocare/ dischiudendo le ali all’aurora boreale”).

Con la felice digressione in una realtà onirica, giustifica in parte dalla tensione emotiva dei passaggi più intensi (“le erbe fioriscono/ in occhi e pelle,/ le tue mani pulite/ parlano di gentilezza“).

Il vuoto infine viene superato con il dono e la devozione.

Nella simbologia delle poesie il sacrificio è spesso sublimato con gesti di gentilezza e di cura della vita, con doni preziosi per chi abbia l’accortezza di cogliere e riconoscerli.

Con lo sviluppo della narrazione, con il susseguirsi dei voli, si raggiunge l’ultima poesia con la sensazione di aver compiuto il completamento della trasformazione, doloroso ma naturale.

Ma del resto, come scriveva Luis Sepulveda, “nessun uccello vola appena nato, ma arriva il momento in cui il richiamo dell’aria è più forte della paura di cadere e allora la vita gli insegna a spiegare le ali”. (Nerio Vespertin)

 

 

 

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