Bologna in Lettere 2024
Le note introduttive
Enea Roversi vs Gabriel Del Sarto
Gabriel Del Sarto ci presenta due testi inediti, raggruppati sotto il titolo Guerre culturali.
E già partendo da qui, dal titolo stesso, potremmo parlare a lungo, analizzando le due parole insieme, oppure singolarmente: i concetti di guerra e di cultura, uniti tra loro a formare un universo di sfacelo e di conoscenza, danno l’idea di una miscela esplosiva.
Il primo testo, suddiviso in tre parti, s’intitola Guerre culturali 2: Del Sarto racconta di una zona industriale (anzi, la Zona) che ha visto chiudere progressivamente le fabbriche, luoghi in cui si generava lavoro e quindi salari, ma al tempo stesso mostri inquinanti che ammorbavano l’ambiente. Ed ecco quindi saltare agli occhi del lettore la prima guerra, quella combattuta tra la difesa del lavoro e la difesa dell’ambiente: situazione che riporta ad altri scenari, si pensi per esempio all’ILVA di Taranto.
Cadono i sistemi economici, cadono i miti, cadono le certezze e cadere è proprio uno dei verbi che Del Sarto usa: tutto cadde / nella Zona, una dopo l’altra, tutte le grandi fabbriche / chiusero, nessuna esclusa, e tutte, poi si comprese, / in modi invisibili, inquinavano, forse maggiormente.
Nel testo si susseguono parole che sembrano, ahimè, appartenere al passato, quali fabbrica, lotta di classe, i compagni della CGIL, la contestazione degli operai: eppure l’abbiamo conosciuto quel mondo e anche se non l’abbiamo vissuto, l’abbiamo certamente visto da vicino. Ecco dunque che scritture come quella di Del Sarto ci fanno capire l’importanza della memoria: siamo nel territorio frequentato in poesia da autori quali Franco Fortini, per citarne uno. Il tono di Del Sarto, in questi versi, è dolente e rabbioso. «Chiaro è il male e netto sempre, sempre individuabile e chiaro / così si spera noialtri di campare, di tirare avanti». Non disperdetevi, sembra dire il poeta, non smettete di lottare, anche se i tempi cambiano e conclude con un verso che è un accorato appello: «Però, ecco, vi dico / state vivi, se potete, non morite.».
Il secondo testo, suddiviso in due parti, ha come titolo WTO, acronimo che rimanda immediatamente al capitalismo: il punto di osservazione di Del Sarto parte stavolta da Hudson Yards, progetto faraonico che si è sviluppato negli ultimi anni a New York, ridisegnando un’intera parte di Manhattan. Nuovi grattacieli, nuove ardite e scintillanti costruzioni, eppure «Hudson Yards, polo del lusso con condomìni e immobili in locazione, con uffici e ristoranti, potrà solo degradarsi.» ammonisce Del Sarto: il sale dell’Oceano, trasportato dai venti, lavorerà lentamente, ma inesorabilmente.
Ancora una volta sarà la Natura a mettere in crisi l’idea di sviluppo cui siamo abituati.
Un’idea di sviluppo di cui come ben sappiamo beneficiano in pochi, ma alla cui costruzione sono coinvolti in tanti «i milioni di occupati che si dedicano, / anche oggi come ieri, alla manutenzione del denaro.», milioni di individui che si muovono all’interno di spazi disumanizzanti «Questo e altri luoghi / che contendono al nulla il senso del vuoto».
Anche qui c’è il richiamo a una Zona (con la zeta maiuscola): gli scenari cambiano, sono distanti tra loro migliaia di chilometri, ma alla fine si somigliano, sono permeati della stessa solitudine e dello stesso sgomento.
L’uomo per salvarsi deve guardare alla Natura, sembra dirci Del Sarto, che a conclusione di questi testi mette un verso che è insieme dichiarazione e illusione: «Poiché dove una volta vi è stato un miraggio, deve esservi vita.». (Enea Roversi)