Maria Laura Valente vs Gisella Blanco

Bologna in Lettere 2024

Le note introduttive

Maria Laura Valente vs Gisella Blanco

 

«Tutta questa nominazione che sfugge alla metrica»

Mappature del chaos tra introiezioni e dismisure nella poesia di Gisella Blanco

 

Nel perimetrare le geometrie esistenziali indagate dagli inediti di Gisella Blanco, l’uso del neologismo nonché hapax legomenon joyciano chaosmos, felice crasi tra i due poli in perpetua tensione dinamica chaos e kosmos, pare appropriato, sia pur mutatis mutandis.

La scrittura di Blanco, infatti, fronteggia fieramente entrambi gli elementi a un tempo e, nell’abdicare scientemente alla millenaria quest di un confortante principio ordinatore, si dispone ad abitare il chaos che archetipicamente genera e involve ogni cosa, ne introietta le dinamiche, se ne fa mimesis verbale.

Sorretto da una robusta impalcatura concettuale, il dettato poetico prende corpo nell’arioso dispiegarsi di versi debordanti, cesellati da un’ars allusiva, nei cui rilievi il serpente di René Char si avvince alla celaniana diade argmentum e silentio: «Char mi ha insegnato il male necessario, / l’intermittenza della coscienza: il poeta vede / la verità, e si acceca nelle altre lingue».

Da un vaglio lessicale rigorosissimo e fortemente intellettualizzato, scaturisce tuttavia un repertorio ricchissimo, in cui la pervasività di ipertecnicismi post-grammaticali, prevalentemente di stirpe linguistica e glottologica (uno su tutti, il «metapronome»), si alterna a costellazioni (intensamente emblematizzate) di lemmi e locuzioni del sermo cotidianus dell’attuale (quali, ad esempio, «i finestrini automatici sbarrati sul paesaggio»).

Paradigma del chaos introiettato è un’aurea dismisura che s’incarna nel gusto per le falcate ampie degli enjambements, per la suggestione delle figure etimologiche, per le figure sintattiche di accumulazione (dove l’elencatio rasenta talvolta il limite delle coacervationes) e per quelle di ripetizione (in particolare geminatio e anadiplosi), nonché per i fitti orditi di figure fonetiche (dalle insistite allitterazioni fonosimboliche alle deflagrazioni polisemiche delle abili paronomasie) e per l’eleganza raffinata di architetture chiastiche  e parallelismi, segnatamente di natura antitetica.

Esemplare, in tal senso, la lirica Supposizioni, da cui si enucleano liberamente alcuni emistichi: «il pensiero sospetto / nel sospetto del pensiero […] il presupposto del sesso / nello stesso presupposto, suppongo».

Una dismisura, quella di Blanco, che abiura ogni sistema normativo al puro fine di ridefinirne i parametri: «una missione / imperfetta tutta questa nominazione / che sfugge alla metrica, e la riassesta».

Ma la missione intrapresa si rivela imperfetta, nell’ancipite accezione di non perfetta e senza fine: Blanco manipola il verbum con inesausta tenacia e sa per prova che le sue geometrie non combaciano con quelle del verum. L’universo è da enunciarsi per contrarium, paiono sancire le litoti che costellano i testi.

E così, nella trasfigurazione musiva del kosmos, il quantum critico è nel tassello difforme, soprannumerario, disperso («possiedi, / possiedi il tassello che avanza?», e ancora «Chi ha il tassello che non coincide, la chiave / del disastro?»).

Parimenti, nella sua reductio ad humanum esso giace nella molteplicità innumerabile dei corpi, nell’eccedenza recidiva e perpetua: «è maestra la carne che non ha un solo corpo / e si condanna all’abbandono, perpetra il disavanzo». (Maria Laura Valente)