Nerio Vespertin vs Teodora Mastrototaro

Bologna in Lettere 2024

Colpi di voce

Le note introduttive

Nerio Vespertin vs Teodora Mastrototaro

 

“L’uomo è l’unica creatura che consumi senza produrre – scriveva George Orwell, nel suo celeberrimo “La fattoria degli animali” – Non dà latte, non depone uova, è troppo debole per tirare l’aratro, non corre abbastanza veloce da catturare un coniglio. Però è padrone di tutti gli animali. Li fa lavorare e in cambio concede loro il minimo necessario alla sussistenza, tenendo il resto per sé”.

Dal 1945, anno della prima pubblicazione di questo capolavoro, sono trascorsi quasi 80 anni, eppure mai come oggi i suoi temi sono attuali nel dibattito internazionale. Anzi, scavalcata la metafora della società umana vittima dei suoi fallimenti autoritari, rappresentata nelle vicende degli animali, fra le sue pagine è possibile riconoscere un’altra controversia moderna, ovvero quella dell’antropocentrismo specista che mette l’umano al vertice della catena di sfruttamento animale.

Controversia che Teodora Mastrototaro raccoglie in pieno, prima come attivista, impegnata da anni nella lotta per la causa animalista, e poi come poetessa, facendosi autrice di due vigorose sillogi come “Legate i maiali” e “Zoologia abitativa”. Al centro dei suoi testi assistiamo, con stupito orrore, alla feroce parata degli allevamenti intensivi, dove creature senzienti sono annientate sistematicamente, ancor prima di venire uccise (“In ogni scatola partorisce una madre/ interrotta nel rovescio della carne./ Il mio destino è avere fame”).

O allo squallore dei macelli, dove la sofferenza viene amministrata con precisione e tecnica disumane (“Ancora cosciente mi rivolti vivo nella vasca,/ l’acqua bollente rende tenera la morte./ Un paio di minuti è il tempo che ci vuole/ per far puzzare il cielo.”).

Ed è una lettura scabra, volutamente cruda e crudele, che non risparmia al lettore il brutale realismo del reportage giornalistico: ogni singolo passaggio del processo produttivo viene analizzato e contestualizzato nella visuale della vittima (“Un braccio meccanico mi spinge giù in fondo/ nel mare sospeso di rosso.”).

Lo sguardo poetico, armato di uno stile asciutto, trasforma il verso dell’animale in grido umano, porta il lettore a familiarizzare da vicino con le creature sfruttate, quasi fossero parti della sua stessa coscienza. Spiegandoci che il vero prezzo delle sigle invitanti di prodotti da supermercato, è il dolore di un essere vivente, ridotto a oggetto dalla macchina dell’industria alimentare.

Apoteosi e capolavoro d’orrore è la descrizione di un complesso di allevamento intensivo noto come ‘Pig Palace’, una triste realtà nella provincia di Hubei, in Cina, dove l’occhio dei media non entra, ma dove l’occhio poetico della Mastrototaro ha l’ardire di intrufolarsi. Una visione degna di Cronenberg, di ventisei piani di carne viva, terrorizzata e tremante: “Disteso in mezzo ai corpi/ in cerca dello spazio/ sospeso sulla carne/ col muso contro il giorno./ Nel peso di quel numero/ si sfiata dal dolore…”.

Scostandosi di qualche passo dall’orrore del mattatoio e del vivaio, i versi riacquistano respiro e si allungano verso il confronto/scontro di vedute, quel dibattito che sfida la tradizione familiare e che conduce a rivedere i propri schemi. I toni feroci di “legate i maiali” si attenuano, degradano in pause di pensiero più disteso, ma non per questo meno incisive. C’è sempre molta cura ai ritmi della vita, al ritmo biologico che accompagna l’esistenza (“Il mio gesto è svezzarti/ così possiamo confonderci/ perché il neonato non sappia/ chi recita il corpo”).

C’è forse la speranza che l’essere umano, l’unica fra tutte le creature capace di consumare senza produrre, sia anche in grado di produrre parole che abbiano il potere di sconvolgere, migliorandolo, l’ordine del suo ecosistema.