Sonia Caporossi vs Andrea De Alberti

Bologna in Lettere 2024

Colpi di voce

Le note introduttive

Sonia Caporossi vs Andrea De Alberti

 

La poesia lirica, tanto vituperata al giorno d’oggi in nome della pretesa sparizione del soggettivismo deteriore di cui è ricolmo il panorama ultracontemporaneo, è pur sempre poesia che dice “io” oppure “noi”, in questo secondo caso considerandola nell’ambito di un frequente fraintendimento che spaccia per poesia civile il lirismo più ecumenico, quello che si assume l’onere e il ruolo dell’onniconsiderazione delle vicissitudini dell’umana specie. Ebbene: Andrea De Alberti propone una nuova concezione della poesia lirica, che non si dispiace dell’auscultazione di una dimensione personale o privata, direi sentimentale, emozionale, intimisticamente aggrappata alla natura stessa dell’umano; purtuttavia, lo fa individuando alcune tracciature stilematiche che disinnescano i dispositivi abusati tipici del genere e ne avviano altri a smantellare la parvenza tradizionale, innervandola di elementi tensivi di tipo ricercato e sperimentale. Primo fra tutti, l’elocuzione di tipo discorsivo, che annulla l’anelito alla trasfigurazione metaforica del dettato, per gettarlo nell’immediatezza del sermo cotidianus e dello strato più evidente delle cose, talmente evidente da risultare non analogicamente trattato, e quindi, depoetizzato quel tanto che basta per prosaicizzare il verso in funzione di un atto apparentemente denotativo, in realtà, fondamentalmente simbolico e universalizzante.

La seconda notazione che sale all’evidenza è lo shifting comunicativo del referente, che per esempio, nel componimento Il denaro trasfigura le cose tratto dall’ultimo libro di De Alberti La rimozione del conflitto, pubblicato per Industria&Letteratura nel 2024, entra in immediato dialogo con un “noi” normalmente territorio della poesia civile, ma che qui si pone consapevolmente su un piano esistenziale anche quando analizza le dinamiche consumistiche della società postneocapitalistica occidentale. Si tratta di un “noi” che dice “io” più di quanto sembri: nella casistica che si affaccia sul proscenio della variegata umanità descritta nel testo, non c’è spazio per il neo-oggettivismo, non un accenno di spersonalizzazione, non l’aurea intellettualistica e un po’ spocchiosa della decostruzione della dinamica comunicativa del messaggio che tanta ricerca manifesta. Avviene, piuttosto, un’interiorizzazione progressiva del detto per il tramite del dato: il contenuto si fa possesso del lettore in virtù della processazione volontaria di una sorta di immedesimazione organica non legiferante, in cui non esiste una regola di interpretazione, che pertanto, per il lettore, rimane libera e fluttuante. Voglio dire che il fruitore può scegliere di mantenersi al di qua dell’immedesimazione, e così interpretare il testo mantenendosi in absentia rispetto a un eventuale coinvolgimento emotivo, leggendolo, quindi, come una sorta di disamina sociologica di un fenomeno storico-economico; oppure, se si lascia guidare dal dettato poetico, può coinvolgersi, riconoscersi in uno dei personaggi, delle figurazioni offerte in elenco, trasmutando la propria percezione, per somiglianze o per differenze, nell’omousia, ovvero in una mera condizione dell’essere, di volta in volta individuata come modalità, attributo, stato d’umanità, condizione d’esperienza in genere. Ed ecco che, allora, l’auscultazione delle manifestazioni della nostra vita diventa avvolgente, ecco che il lirismo perde il suffisso peggiorativo e si dipana in forma di comunicabilità assoluta: proprietà precipua della versificazione gentile, ma non per questo meno traumaticamente veritativa, di Andrea De Alberti, che sa metterci davanti alle nostre contraddizioni come pochi, oggi, sanno fare.