Premio Bologna in Lettere 2024
Sezione B- Raccolte inedite
Su materiali per una fine di Michele Trizio
Potremmo definire quella di Michele Trizio, in materiali per una fine, una scrittura di controcanti. Anzitutto a livello strutturale: la quasi totalità delle poesie contenute nell’opera sono costruite giustapponendo una scena, un fronte (ad esempio: «Pietà fraintesa, reclami da trent’anni / le colonie estive le case al mare») e un retroscena, un a parte parentetico («(le offerte dell’ipermercato)»). Che questo a parte, o controcanto, si armonizzi con il canto in una bipartizione simmetrica (come nell’esempio riportato), o che si doti di altre possibilità grafiche, come le virgolette, il corsivo e i punti di sospensione («“nel corpo si nascondono versi” // (…) // segni indelebili di una appartenenza»), o ancora se si compia, qualche volta, nel corpo stesso della fronte («l’illusione (di tornare ad essere), l’abiura / delle infradito tra le fronde inerti. / benedetti siano i giardini sulla riviera») la sostanza non cambia: i materiali per una fine si trovano nell’ordito dei testi, in zone non ancora sondate.
Di quali materiali si tratti precisamente, di che materia appunto siano fatte queste zone insondate, poi, è il nodo della raccolta. Dalle poesie – e soprattutto dagli a parte e dagli incisi descritti prima – traiamo una serie di indizi che programmaticamente non rispondono del tutto alla domanda, non mostrano l’effettiva formula chimica di questi materiali: «offerte dell’ipermercato», «il rito. di passaggio», «una diaspora», «i fori d’uscita» che compaiono nelle chiuse assomigliano, più che a oggetti, a movimenti, e lasciano intuire che i materiali del titolo corrispondano in realtà a pratiche di costruzione (o decostruzione) della vita. In questo il testo di apertura è più chiaro: si tratta di comprare «l’occorrente / per raccontare una fine, per disinfettare / gli ambienti)». I materiali sono allora materiali umani, gesti e relazioni, e la fine anche un fine, il punto (sostanzialmente fantasmatico) cui si rivolge la progettualità dell’individuo e del piccolo collettivo (io, tu) protagonista dei testi.
Questo non pieno dominio sui materiali, rappresentato e rafforzato dalla struttura contrappuntistica dei testi, è il vantaggio del lavoro di Trizio, che d’altra parte (nel canto opposto al controcanto, a questo punto) cede anche a forme velatamente ermetiche o comunque addensate e innalzanti («Geografia invisibile dell’indaco», «Negli androni silenti / rabbuiano in disarmo i cieli»). Il culto dell’assenza e dell’invisibile, del resto, non è estraneo alla tradizione poetica e, anzi, rappresenta ancora oggi una linea ampiamente, e forse anche eccessivamente, attraversata. La soluzione proposta da Trizio va – almeno in parte – verso una demistificazione di questo culto, che viene quantomeno affiancato da altre presenze, istanze, meccanismi, appunto materiali, che ne problematizzano la portata oracolare. Alle giustapposizioni strutturali che già di per sé frammentano il discorso, infatti, si allega uno yang concettuale e atmosferico: di questo, oltre ai prodotti commerciali già citati, è felice simbolo la «&» che con una certa sistematicità accosta coppie di sostantivi; sia oggetti come «porte / & verande», sia concetti astratti, sia, soprattutto, elementi riconducibili al lirismo: «poi ti affretti a vivere & ricordare», «confini & ferite», «si fa cucina respiro & infine indaco», «alla rinfusa incastri pietre tra remore & vita.»
Che ciò sia più o meno previsto, poi, è irrilevante. Questo gioco è ciò che permette a Trizio di esporre una contraddizione in atto: da una parte un canto innalzante, che cerca di rielaborare il quotidiano su un piano più lirico e astratto, dall’altra appunto i materiali – fisici, linguistici, antropologici – che entrano di soppiatto, tramite canali interstiziali, ma incidono sulla nominazione del reale e materializzano la contraddizione di doversi costruire continuamente, in quanto umani, un disconnesso, col punto in mezzo, «rito. di passaggio». (Antonio Francesco Perozzi)