Premio Bologna in Lettere 2024- Note critiche e appunti di lettura – Marilena Renda vs Stefano Guglielmin

 

Premio Bologna in Lettere 2024

Sezione A – Opere edite

 

Stefano Guglielmin tenta, in questo suo recente Un regno di ciechi senza doni, pubblicato da Marco Saya editore, il difficile compito di riscrivere l’Amleto, testo fondativo della sensibilità moderna. Lo fa affidandosi alla forma del frammento, sfilacciando i contorni della vicenda, confondendo i connotati dei personaggi; in altre parole facendo a pezzi il testo originario per riassemblarlo in altra forma in modo che si presenti al lettore disarticolato e irriconoscibile, ma denso e pieno di tensione nei suoi molti momenti riflessivi, autobiografici, sapienziali e metapoetici. Forse l’unico modo possibile per portare il peso di un testo del genere è proprio far finta – pretendere, come direbbero gli inglesi – che non abbia peso, ovvero che ci si possa guardare allo specchio di un mito fondativo, come fa Kenneth Branagh nella scena famosa, senza essere schiacciati da tutto quello che è stato scritto e pensato da allora sull’argomento. Guglielmin lo fa scegliendo quattro sentieri diversi, o per meglio dire tessendo quattro fili diversi (la metafora da lui scelta della tessitura rende meglio l’idea): la trama dell’Amleto shakesperiano, le suggestioni sul fare teatro, i ricordi personali, il meta-poetico. Mi pare che dei macrotemi presenti nell’Amleto il più importante esplorato da Gugliemin si possa ricondurre alla frantumazione del soggetto, alla sua mancanza di centro, e alla luce di questa scelta tematica la forma-frammento è la più appropriata, forse addirittura l’unica possibile. Personalmente ho apprezzato molto i frammenti autobiografici, i cosiddetti “fuori testo”: “Nella mia famiglia nessuno diede mai segni di follia, però a me e a mio padre bastava niente per farci esplodere. Con il tempo imparammo a controllarci: saremmo piaciuti a Polonio, meno ai medici che conoscono la somatizzazione. Nessuno dei due pensò mai alla donna come a un essere dormiente, né nell’uso dell’intelletto né rispetto ai ruoli. Gli sono riconoscente per questo”, in cui emerge a pieno la postura di Gugliemin, che trovo magnifica, e che forse è il pezzo forte del libro. Distaccata, ironica, dice cose pesanti senza apparentemente farlo, racconta la storia di un disinganno dopo un’illusione in cui chi scrive ha rischiato di affogare, ed è rimasto vivo per poterlo raccontare. Per fortuna senza troppa serietà.  (Marilena Renda)