Premio Bologna in Lettere 2024- Note critiche e appunti di lettura – Antonella Pierangeli vs Massimo Rizza

Premio Bologna in Lettere 2024

Sezione C – Poesie singole inedite

 

Alterità e necessità: “tenebre involontarie in un pensiero preso a caso” nella poesia di Massimo Rizza

 

 

Esiste, nella poesia di Massimo Rizza, una corrispondenza intensa fra la dimensione pulviscolare, frantumata, del mondo e la capacità evocativa della realtà stessa tramite la forza allusiva della poesia. In questi brevi movimenti poetici per voce sola, Rizza si pone il problema di raffigurare sotto un angolo visuale differenziato il rapporto tra la proliferazione interiore della sua vita emotiva e la sua crepuscolare esperienza ed invenzione, creando un sortilegio evocativo attraverso cui dare corpo e relazione linguistica, e comunicativa, al disvelamento dell’alterità. Si tratta di un processo in fieri in cui la creazione non è nient’altro che “un sistema di differenze in equilibrio tra l’unità e il molteplice” in cui “persino le lacune, i silenzi e le illusioni possono essere calcolati”. Costruzione di senso quindi e, ancora una volta, necessaria ricerca di corporeità della realtà.

La possibilità di una geometria dell’amore, e la dilatazione oltremisura del verso, rilanciano la dignità dello spazio dedicato alla dimensione congetturale di uno stato di attesa dei sensi che sfocia persino nel silenzio: “percezione silenziosa” in cui “cerchi le parole bianche nel nido vuoto/quel vuoto da non riempire perché quel vuoto non è perdita” ma è uno stato che intesse “la necessità di misurare il desiderio senza mai prenderne possesso” e in cui le “parole servono a misurare le segretezze e le ombrosità sul viso”.

Non si tratta, però, di malinconica immobilità quanto, invece, dell’ammissione da parte dell’Io poetante dell’esistenza di “una sottile linea d’ombra” che “indica il segno della sua leggerezza” dove “la parola nuda mi conduce dentro ad espugnare l’antico regno”. In questa finitudine e sperimentazione di una raggiunta consapevolezza conoscitiva, cade il concetto di Io narcisistico, per un desiderato incontro in cui “tenebre involontarie in un pensiero preso a caso” ricostruiscano una dimensione di senso. Sono situazioni e momenti che poggiano sul sentimento dell’indecifrabilità del mondo e del suo sottrarsi alla fatica del significato, “opera fluttuante, oggetto soglia, il tuo amore per la materia/confluisce nel senso: forma tesa, afflitta essenza dell’essere.” in cui Massimo Rizza accoglie quella intimità che egli può confessare più liberamente e francamente. È proprio la necessità emotiva di affrontare brutalmente la realtà nuda della poesia, e l’alterità delle geometrie amorose, che lo induce a dire: “vorrei conoscere la vera formula/la necessità in amore di valutare la tremenda insonnia della superficie.” Una superficie-involucro in cui perdersi, disciogliersi, in frammenti di un’unità sostanziata di singolarità.

Quel che si chiede Massimo Rizza è dunque come poter vivere la propria individualità in piena armonia con una realtà che si è rivelata caleidoscopica, che scopre non sottostare alle tradizionali operazioni demiurgiche della poesia. Esse sono state, e tutt’ora dimostrano di essere, più che altro atti consolatori, che non dicono la pienezza dell’esistenza: “poesia si spoglia, il verso ha un’erezione, si snoda lento sulla parola amore/ancora, non so dove tu finisci di essere tu e dove comincio io ad essere io”. I poeti maturano una diversa coscienza della realtà, ancor di più, riconoscono un’esigenza di progressivo, incessante, attraversamento che ripercorre nello spazio e nel tempo la memoria dell’individuo. Entità solo astratta, concettuale e neppure soltanto sensoriale, ma che si esprime paradossalmente in tutta la sua fisicità, nella presenza effettiva di quel che l’uomo è, spogliato di tante, forse tutte, le sue illusioni: una corporeità poetica dal valore salvifico che “si è introdotta nei miei sogni con aria clandestina una sera d’estate”.

Una poesia quella di Rizza e dei suoi Movimenti che viaggia, dunque, in senso contrario, volta a infrangere i confini della solitudine e ad affermare l’urgenza di cercare, interrogare, la consapevolezza di una vera e propria necessità poematica. L’alterità come nuova fonte di verità, la mobilità della parola nuda intesa come trasformazione, ma anche come spostamento di relazione poetica fra soggetto e oggetto. In linea con il suo più vivo senso del poetico, la visione necessaria di Massimo Rizza si fa portavoce delle numerose sfaccettature in cui si sprigiona, poliedrico, l’umano, compresi gli aspetti compromettenti, vagamente erotici e maliziosi, sorti da un’istintività remota, ma ancora connaturatagli, che va pertanto compresa e preservata, quale strumento per attraversare il barlume dell’inatteso. Alterità e necessità del frammento e dell’intero, insomma; a buon diritto varranno come necessità poetica mentre “l’acrobata invisibile cola giù nel calco” e la ”fusione a cera persa”, nata dall’attrazione di un istante, divampa fugace in un attimo di passione intensa ma controllata, se è vero che senza parole amiamo i numeri primi che hanno solo due amanti/in assenza del suo corpo ora vorresti uscire dal testo, con la sua anima nuda.”  (Antonella Pierangeli)