Michael Montlack is editor of the Lambda Finalist essay anthology My Diva: 65 Gay Men on the Women Who Inspire Them (University of Wisconsin Press) and author of two books of poetry from NYQ Books: Cool Limbo and Daddy. Recently his poems appeared in North American Review, Cincinnati Review, Poet Lore, The Offing, Hotel Amerika, Court Green, and Los Angeles Review. His prose has appeared in Huffington Post and Advocate.com. He lives in NYC.
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Ancient Aliens
While you’re Just doin’ weekend chores
with your boyfriend (or is it fiancé now?),
I’m gorging again on The History Channel,
trying to convince myself I might meet
someone at the gym if only I could levitate
from my sofa with the same ease and grace
Chinese Myths assigned to “flying dragons”
some Ph.D. (with A Flock of Seagulls haircut)
insists were aircraft awing naïve ancestors.
They just didn’t have a name for it.
I didn’t have a name for it either. The alien
sensation that descended that afternoon
your boyfriend—my long-time friend—
finally introduced his new beau. A hand-
shake charged like the jolt that same Ph.D.
suggests was not the lightning of Zeus
scalding humans from Mount Olympus
(perhaps for a vice like coveting?) but
a glowing beam, some otherworldly force
from some bird-thing landing from beyond.
The aliens suddenly all the men I believed
I had loved. Dwarfed now from the top
of a pyramid I couldn’t recall climbing.
Always falling short. Not enough. Not it.
Whatever it was.
I just never had a name for it. Until you
offered yours. And I was struck dumb,
a stargazing primitive willing to carve
your likeness into cavern walls, learn
your language, spend a whole lifetime
flattening the earth into a landing pad
in case you might visit again.
Antichi Alieni
Mentre stai giusto facendo le commissioni del weekend
col tuo ragazzo (o siete proprio fidanzati ora?),
io mi sto sfondando di nuovo di History Channel
cercando di convincermi che potrei incontrare
qualcuno in palestra se solo riuscissi a sollevarmi
dal divano con la stessa facilità e grazia
che la mitologia cinese attribuiva ai “draghi volanti”
che secondo qualche professorone (con taglio newave)
erano antenati naif ispirati agli aerei.
Solo che non sanno come chiamarli.
Neppure io avevo un nome. Quella sensazione
aliena che mi invase quel pomeriggio in cui
il tuo tipo – il mio vecchio amico –
finalmente presentò il suo nuovo amante. Una
stretta di mano caricata come quel colpo che lo stesso
professorone sostiene non fosse un fulmine di Zeus
a friggere gli umani dal Monte Olimpo
(magari per il vizio di sedurre), ma un
raggio luminoso, una qualche forza spirituale
da qualche cosa- uccello venuto dall’aldilà.
Gli Alieni all’improvviso sono tutti gli uomini
che ho amato. Che ora appaiono così piccoli visti dalla
cima di una piramide che non ricordo di avere scalato.
Mai all’altezza. Mai abbastanza. Mai quello.
Qualunque cosa fosse.
Semplicemente non avevo un nome per quella cosa.
Fino a che tu non ci donasti il tuo. E restai muto,
un primitivo col naso all’insù desideroso di
incidere la tua figura nelle pareti della caverna,
imparare il tuo linguaggio, passare un’intera esistenza
a trasformare la terra in una pista di atterraggio
in caso tornassi a farci visita.
Homosexuality
So long at the bottom of the well—
occasional shafts of sunlight
disturbing the darkness—my eyes
calibrated to decipher shadows
for other nocturnal creatures.
Always there were none.
When the rope finally lowered,
I was so delirious with fever
I nearly looped my neck with it,
instead of my waist, expecting
to be booby-trapped at the top.
It’s okay. I’ll get you outta there!
The voice familiar—my own?
Maybe. I’d never really heard
what I sounded like. Unless this
was the trap? Wait! Too late—
he was pulling me through
the well’s mouth. Gathering me
into his arms. Breathe. Breathe.
Everything seemed jeweled
with a glare. Even his badge.
Engraved with my name?
Preoccupied by the charge
I inherited, I almost forgot
my note scratched nightly
into the well’s stone walls:
By the time you read this …
Scars in my fingerprints.
Omosessualità
Per tanto tempo sul fondo del pozzo –
sporadiche lame di luce
ad infastidire l’oscurità – i miei
occhi tarati a dire le ombre
per altre creature notturne.
Non ce ne era mai nessuna.
Quando la fune fu finalmente calata,
ero come in preda ad un delirio febbrile
che per poco non l’ho messa intorno al collo,
invece che in vita, aspettando
di essere sollevato fino in cima
È tutto okay. Ti tirerò io fuori da qui!
Una voce familiare – la mia?
Forse. Non avevo mai del resto
sentito come fosse. O forse
questa era la trappola? Aspetta! Troppo tardi –
mi stava già tirando fuori
dalla bocca del pozzo. Accogliendomi
tra le sue braccia. Respira. Respira.
Sembrava tutto come dorato
di luce abbagliante. Anche il suo distintivo.
Col mio nome inciso?
Preoccupato dal carico
che avevo ereditato, avevo quasi
dimenticato l’appunto inciso di notte
sulle pareti del pozzo:
Quando leggerai questo…
Cicatrici nell’impronta digitale.
Toast
Once a woman who lost her mother
told me the story of a guru rushing
to satisfy his dying mentor’s last wish.
For bread. “You see,” the woman said,
“if he died with an unfulfilled desire,
big or small, he’d risk reincarnation.”
She believed her mother’s dementia—
an almost-infancy—had completed
such a cycle. Her mother, never truly
nurtured, finally cared for like a baby.
*
Later, my sister shared
my mother’s last words: Get Michael!
I didn’t make it in time.
For months I’ve dreamed of a curtain.
No window. Just the curtain. Hanging
in the center of an empty room. Heavy
velvet. Dark grey. Swaying in a breeze
I can see but not feel.
I think my reincarnation’s inevitable.
At night I whisper: Shall we be friends
next time? Cousins? How about sisters?
Though I am certain I will be her mother.
Augurio
Una volta, una donna che aveva perso la propria madre
raccontò la storia di un guru che corse a soddisfare
l’ultimo desiderio del suo mentore in fin di vita.
Il pane. “Vedi”, disse la donna,
“se fosse morto con desideri non soddisfatti,
piccoli o grandi, avrebbe rischiato la reincarnazione.”
Credeva che la demenza di sua madre –
una quasi infanzia – avesse portato a termine
un tale ciclo. Sua madre, mai realmente
nutrita, infine accudita come un bambino.
*
Più avanti, mia sorella avrebbe condiviso
le ultime parole di mia madre. Trova Michael!
Non arrivai in tempo.
Per mesi ho sognato una tenda.
Senza finestre. Solo la tenda. Appesa
al centro di una stanza vuota. Pesante
velluto. Grigio scuro. Gonfiata da una
brezza che vedo e non sento.
Credo che la mia reincarnazione sia inevitabile.
Di notte sussurro: Saremo amici
la prossima volta? cugini? magari sorelle?
Sebbene sia certo che sarò sua madre.
(Traduzioni Alessandro Brusa)