Ángelo Néstore (Lecce, 1986/Malaga) è poeta, performer e gestore culturale italo-spagnolo. È docente nel profilo linguistico di inglese del Dipartimento di Traduzione e Interpretariato dell’Università di Malaga. Attualmente è il direttore artistico di Irreconciliables, il Festival Internazionale di Poesia di Malaga e della casa editrice di poesia Letra Versal. Ha pubblicato i libri di poesia Adán o nada (Bandaàparte, 2017) e nello stesso anno ha ricevuto il xxxii Premio Nazionale di Poesia Hiperión con il suo ultimo libro Actos impuros (Hiperión, 2017), tradotto in inglese presso la casa editrice americana Indolent Books (New York, 2019). Nel 2019 vince il XX Premio Internazionale di Poesia Emilio Prados con il libro Hágase mi voluntad (Pre-Textos, 2020). A diciotto anni ha vinto il Premio alla Migliore Interpretazione Maschile del Concorso Nazionale di Teatro Vittorio Gassman di Roma. I suoi ultimi spettacoli teatrali sono il monologo in omaggio alla poetessa Gloria Fuertes Esto no es un monólogo, es una mujer (testi e regia) e Lo inhabitable (testi, regia e interpretazione), basato sui suoi due primi libri e dove dialogano la poesia, il teatro e la performance. Nel 2018 gli è stato conferito il Premio Ocaña alla Carriera Poetica nel xxi Festival Internazionale del Cinema LGBT di Estremadura.
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E io chi sono?
Por la mañana abandono mi sexo.
Al atardecer vuelvo
cuando me desnudo para entrar en la ducha.
Mi madre siempre dice que tengo los hombros de mi padre.
Con el vaho en el espejo el contorno es más ancho, más generoso.
Dibujo una línea recta con los dedos, con la mano la deshago.
En los ojos guardo la tristeza de las muñecas
que jugaron a ser hijas
y que mis padres acabaron regalando.
El agua fría me trae a mi cuerpo,
escondo el pene entre las piernas.
Mamá, ¿a quién me parezco?
De cuando me equivoqué de bar
Yo soy de esa clase de amigos
que siempre pide otra ronda en los bares.
No tengo hijos,
soy el hijo único de una dinastía de bastardos
que se llena el estómago y se autodestruye.
Mis amigos, sin embargo, son padres,
de esos que buscan una excusa para volver tarde a casa,
siempre me invitan a otra,
nunca quieren que me vaya.
Ellos me miran y cien veces
me cuentan cien veces lo difícil que es
la suerte que yo.
Ellos no ven las hormigas que trepan por mi pierna,
no las ven.
Beben tiempo con su boca de padres,
tragan tiempo con su saliva de padres
y yo me vuelvo cada vez más pequeño
y sus hijos cada vez más grandes.
Y con cuarenta, con cincuenta,
volveré al mismo bar de la esquina
y entonces los que hoy son niños se preguntarán por qué
tantas hormigas en mi boca,
por qué el amigo de sus padres se sigue creyendo joven.
Con cincuenta, con sesenta,
quién me llevará a casa,
quién guardará mis huesos bajo las sábanas.
Con sesenta, quizás, con setenta
quién contestará a mis preguntas,
quién me dirá lo difícil que es,
la suerte que yo
cuando un día me confunda y pida otra ronda
frente a la sola luz de mi nevera.
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E io chi sono?
La mattina abbandono il mio sesso.
All’imbrunire ritorno
quando mi svesto per entrare in doccia.
Mia madre dice sempre che ho le spalle di mio padre.
Con il vapore sullo specchio il profilo è più ampio, più generoso.
Traccio una linea retta con le dita, la cancello con la mano.
Negli occhi custodisco la tristezza delle bambole
che giocarono a esser figlie
e che i miei finirono per regalare.
L’acqua fredda mi riporta al mio corpo,
nascondo il pene tra le gambe.
Mamma, a chi assomiglio?
Su quando sbagliai bar
Io sono quel tipo di amico
che ordina sempre un altro giro al bar.
Non ho figli,
sono il figlio unico di una dinastia di bastardi
che si riempie la pancia e si autodistrugge.
I miei amici, invece, sono genitori,
quel tipo che cerca una scusa per tornare a casa tardi,
me ne offrono sempre un altro,
non vogliono mai che me ne vada.
Loro mi guardano e cento volte
mi raccontano cento volte quant’è difficile
quanta la mia fortuna.
Loro non vedono le formiche che si arrampicano sulla mia gamba,
non le vedono.
Bevono il tempo con la loro bocca da genitori,
ingoiano il tempo con la loro saliva da genitori
e io divento sempre più piccolo
e i loro figli sempre più grandi.
E a quaranta, a cinquanta,
tornerò allo stesso bar all’angolo
e allora quelli che oggi sono bambini si chiederanno perché
tutte quelle formiche nella mia bocca,
perché l’amico dei loro genitori continua a credersi giovane.
A cinquanta, a sessanta,
chi mi porterà a casa,
chi terrà il mio corpo sotto le lenzuola.
A sessanta, forse, a settanta
chi risponderà alle mie domande,
chi mi dirà quant’è difficile
quanta la mia fortuna
quando un giorno mi sbaglierò e ordinerò un altro giro
davanti alla solitaria luce del mio frigorifero.