PREMIO BOLOGNA IN LETTERE
VIII edizione 2022
SEZIONE B
(Raccolte inedite)
La giuria formata da
Alessandro Canzian, Clery Celeste, Giusi Drago
Daniele Poletti, Patrizia Sardisco
conferisce una segnalazione di merito a
Thomas Mai
per l’opera
Ritratti
I Ritratti di Thomas Mai sono un catalogo di mostri o di creature a metà fra uomini e animali. Vivono ai confini fra vita civilizzata e frantumazione della fragile patina di civiltà che ci avvolge. Sprigionano valenze simboliche, ma in un loro modo non tradizionale, quasi alla lontana, come se il simbolico si affievolisse e si esaurisse in un’azione irrelata, bizzarra o grottesca.
I mostri recitano da mostri, ma non sembrano scaturire da tenebre terrificanti, sono mostri di secondo grado: potrebbero forse essere descrizioni ecfrastiche dei demoni di Mizuki, inventore e disegnatore di mostri nella tradizione giapponese. Nominiamone alcuni, perché sono i dettagli a rendere obliqua e poliedrica la ritrattistica di Thomas Mai: Gracco fa morire i pesci quando parla, ma nessuno l’ha mai sentito parlare, mentre Goffredo convive pacificamente “con nove pesci rossi rinchiusi in nove fragili biscottiere di vetro”. Oppure prendiamo i mimi: Albidéle, Plunio e Balbaducco, esseri circestensi e liberi, perché portano con sé l’eco di un’animalità folle e divina. Quanto ai nomi, Plunio somiglia a pluvio o plenilunio, Babaducco – balbus – vive in simbiosi col gufo e ricorda il barbagianni, Madornale è forse Gargantua, come gli errori madornali che sono comunque giganteschi. Eppure non c’è un vero e proprio senso evocativo nel nome, perché molte volte il nesso fra nome e personaggio descritto è talmente personale da risultare non decifrabile: dato che sono nomi inventati, ci si aspetterebbe un rapporto di necessità o di corrispondenza; se fossimo in un testo di Borges il nesso ci sarebbe, ma qui prevale un senso di sospensione e sembra che l’analogia sia interrotta sul nascere.
La raccolta alterna poesie e prose ed è popolata di personaggi per metà maschili e per metà femminili. Interessante il fatto che gli uomini sono bestialità più concrete, meno chimeriche, in cui ci si può identificare, laddove le donne sono spettri, svaniscono quando ci si avvicina, sono figure aliene, brutali, ossute che incutono paura (Spiria, Lavinia, Ursula, Paulania): hanno insomma tutte una certa evanescenza legata alla femminilità
Di Paulania – in cui forse si concentra un certo nichilismo dell’Occidente “vago, ostile e assillante” come lei – viene detto: “Pare che nessuno sia mai riuscito a osservarla da vicino, perché più si avanza nella sua direzione, più la sua immagine si allontana.
Alcuni anziani si dicono certi di averla vista mutarsi in una pallida fiamma sospesa a mezz’aria, vaga, ostile e assillante”.
Resta, a fine lettura, un senso di catastrofe dell’umano e di indecifrabilità del progetto della ragione occidentale: le vite abilmente descritte da Mai in pochi tratti si consumano nel sottosuolo o nel sottobosco o ai margini. L’impressione è che questo sfacelo, questo dileguare e il terrore che ne consegue sia un evento verbale più che un’esperienza; ma l’intonazione dark è ben riuscita e, specie nei personaggi femminili, sembra che la scrittura configuri un catalogo di eroine indemoniate da film horror o ancora possedute dal mito, a cui però non crede più nessuno, nemmeno loro. (Giusi Drago)
Thomas Mai è nato a Bologna, città in cui tutt’ora vive e dorme, nel 1983. Da circa undici anni è traduttore dall’inglese e dal francese presso un’agenzia. Ha scritto poesie e racconti brevi. È ancora senza pubblicazioni all’attivo.