Adriano Cataldo
Nella società dello spettacolo, oppressa da una condizione consumistica che si esprime in azioni grondanti sangue e flegma meno che umani, ci aggiriamo, a giorni alterni, un po’ come spettatori un po’ come spettanti: a qualcuno tocca di assistere allo show in cui tutti siamo coinvolti recitando una parte imposta dall’alto, ad altri tocca la spettanza del resto in moneta sonante, ovvero le ovvie conseguenze. Il poeta, in questa dimensione di presunta normalità spersonalizzante, si muove come un indagatore delle pieghe occulte che di volta in volta vengono assunte dal reale. Nella sua poetica, Adriano Cataldo frantuma l’essere nelle sue screziature filiformi, fino ad aggiungere forma alle sagome appena accennate di una devianza dal senso che si ricondensa nel qui-ed-ora solamente a sprazzi, e per via di osservazione empirica. Se, come scrive l’autore, “Gli angoli dei giorni” di un’agenda spuntata sono come “risvolti del da farsi / assente del presente”, allora, la quotidianità si adombra di quel presente “tenue” in cui “qualcosa ognuno tira / a sé per dire noi”. Se nell’esercizio della forma elettromontaliana del testo musicato Cataldo comunica per via di cinismo ed ironia la propria posizione nel panorama poetico ultracontemporaneo, smontando e scardinando il testo come in un gioco; e se in Famiglia Nucleare Cataldo descrive la crisi della famiglia come exemplum dell’implosione antropologica dell’ultracontemporaneo, nei testi tratti dalla raccolta inedita Rifiuto residuo, egli, attraverso la metafora del garbage e dell’accumulo residuale dello scarto come avanzo e rigenerazione, indaga la stratificazione polisemantica sottesa alla rivisitazione necessaria del male di vivere montaliano, senza esitare nell’utilizzo, a lui abituale, del citazionismo e del pastiche, con versi tratti dalla tradizione poetica del Novecento rimescolati, riveduti e corretti come un caffè al cianuro, nella consapevolezza che, se tutto è già stato pur detto e scritto e non c’è davvero niente di nuovo sotto il sole dell’umana indecenza, allora il poeta, oggi, non può che far proprio il materiale tràdito in una maniera solo apparentemente postmoderna, in realtà ipermoderna, come in una glossa (normativizzata dal segno linguistico) della realtà aumentata, rivisitando, cioè, il nesso segno-significante-significato in una sorta di commento postumo al Novecento stesso, come a dire: guardate tutti com’eravamo e come siamo diventati, oggi: riflettiamo, e assumiamoci le relative responsabilità. (Sonia Caporossi)