Anna Maria Curci getta uno sguardo acuto, spesso acuminato, sulla nostra contemporaneità per indagarne le storture, gli aspetti tragici e grotteschi. Nei suoi lavori editi e inediti, temi attuali come l’immigrazione, i meccanismi della finanza, il cosiddetto lavoro flessibile, le disuguaglianze sociali, l’ipocrisia, l’individualismo e la diffidenza verso l’altro vengono sezionati con un linguaggio affilato come un bisturi e la mano ferma del chirurgo. Il suo stile è icastico e tagliente e le scelte lessicali, ricercate e spesso aspre, si addensano il più delle volte in componimenti compatti dalla musicalità estremamente curata, attraversati da tensioni e attriti. La poeta attinge spesso a termini tecnici afferenti a varie discipline e lessemi poco comuni nell’uso, spingendoci a quel lavoro di ricerca e allo studio necessario per cogliere i riferimenti, risolvere gli enigmi. I suoi versi richiedono consapevolmente uno sforzo al lettore e ciononostante non disdegnano, per partito preso, incursioni liriche riuscendo a commuovere e intrigare con la potenza visiva delle scene evocate e la dolcezza della musica. Particolare attenzione è riservata agli aspetti ritmici, dosando sapientemente pieni e vuoti, facendo risuonare anche i silenzi. Si utilizzano le forme metriche più svariate, prediligendo i componimenti brevi e spaziando da una versificazione libera alla metrica tradizionale. L’ironia è un tratto distintivo saliente di questa scrittura sapida che si esprime spesso nella forma di epigrammi e poesie gnomiche, non di rado inasprendosi nel sarcasmo. In molti casi la lezione della storia e della letteratura porta l’autrice a riflettere su un passato dal quale è indispensabile trarre ispirazione e monito e ricorrono gli omaggi agli autori e alle autrici amati, con cui si intrattiene un dialogo intellettuale e affettivo al tempo stesso. Ed è evidente come la poesia tragga nutrimento dal lavoro di studiosa e traduttrice al quale la poeta si dedica con grande cura e passione. (Francesca Del Moro)
Graziella Sidoli è poeta, saggista e traduttrice e nella sua vita si è divisa tra l’Italia, l’Argentina e gli Stati Uniti. Parla e scrive in tre lingue e questo l’ha inevitabilmente portata ad allargare e a problematizzare il suo sguardo superando ogni sorta di confine mentale. L’impossibilità di riconoscersi in una patria ha ispirato alla sua scrittura i temi della mancanza di radici, dello spaesamento, della marginalizzazione e dell’esclusione. Ma, al tempo stesso, questa condizione di “meticcia”, come lei stessa si definisce in una poesia, l’ha resa libera, facendo dell’apolide una cittadina del mondo. Un atteggiamento, il suo, che si riflette nella produzione saggistica, culminata in Saggiminimi, edito da Fara nel 2018, e nella poesia, che privilegia un approccio realistico, assumendo spesso un andamento narrativo e talvolta sconfinando nella prosa. I suoi versi scorrono asciutti, essenziali, in un linguaggio piano e ritmato da una musicalità avvolgente e delicata. La poesia di Sidoli potrebbe essere definita “di relazione” perché appare protesa verso gli altri più che ripiegata su sé stessa: con uno sguardo sensibile e lucido, da un lato si sofferma sugli affetti come nei versi per la madre e per l’amico, dall’altro indaga, in prosa e poesia, dinamiche sociali e temi politici soffermandosi sulla condizione femminile e sulla questione delle migrazioni. Non rifugge tuttavia di trattare argomenti più intimi e personali (ma in questo caso il personale sta per l’universale) prestando il fianco alla definizione di “confessional”, oggi da molti e a torto vituperata. I suoi versi illuminano con una luce spietata anche gli aspetti più scomodi della vita per rivelarli coraggiosamente così come sono, senza orpelli e senza infingimenti. In questi versi, dall’atmosfera “autunnale” (il tema del passare del tempo scandito dalle stagioni è ricorrente), tra luce e malinconia, che ricordano le opere del suo amato Hopper, la poeta si confronta con la malattia, con la morte, con la necessità di portare delle maschere, con la propria fragilità e con un pervasivo senso di precarietà rappresentato spesso con la metafora della foglia. (Francesca Del Moro)