Maria Laura Valente vs Stefano Iori

Bologna in Lettere 2024

Le note introduttive

Maria Laura Valente vs Stefano Iori

 

«Doppio spartito per voce singolare».

Simbolizzazioni del reale tra intellettualismo e tensione lirica nella poetica di Stefano Iori

 

 

La scrittura poetica di Stefano Iori, ipostatizzata in ciascuna delle sue sillogi che, in guisa di pietre miliari, scandiscono un percorso di ricerca ultradecennale, si configura come rimarchevole quadratura del cerchio lato sensu, giacché in essa finissima caratura intellettuale e vibrante cifra lirica coesistono armoniosamente, in mirabile compenetrazione elettiva, nello spazio sacro del verbum.

Nel percorrere con animo vigile i testi tratti da Il tocco dell’ignoto (peQuod, 2023), ci si scopre ad attraversare paesaggi interiori trasfigurati da una ponderata rielaborazione dei parametri ontologici dell’umano. In forza di una visionaria tensione alla simbolizzazione, potenziata da una mirata selezione lessicale volta all’assimilazione del kósmos con l’ultramondo linguistico, si ci trova immersi in una realtà fortemente allegorizzata – «Con una mano sola /senza l’occhio destro / saltando sul piede sinistro» -, il cui codice di decriptazione riposa nelle meccaniche spirituali di una rinnovata grammatica esistenziale: «Sfuma / l’istintiva mira / di inseguire ricordi / nel metro di un idioma / costruito sul sospiro».

Latente nel sospiro – pienezza di respiro che si eleva dal profondo – lo pneuma infonde vita a un nuovo alfabeto psichico, in virtù del quale l’essenza di ogni creatura trasmuta – «Verme nella terra /cieco / privo d’ali per volare / e di gambe per saltare / m’allungo verso il cielo» – e si combina in strutture simboliche che articolano un esperanto orfico, vivente lingua del mondo che consocia e affratella nel symbolum i neofiti dell’intero universo nell’estasi intellettuale di una comunicazione cifrata: «Il mondo parla / nelle cose / e negli esseri».  Un idioma criptato e misterico, in cui ogni paradigma è destrutturato, ogni radice capovolta in chiave sefirotica, mentre il suo quantum si invera in absentia e per contrarium: la pienezza risiede nel vuoto della mancanza – «La sedia respira /senza il piombo del corpo» -, la compiutezza riposa nella sospensione del gesto, nella dilazione dell’atto – «Leggerò domani /ciò che non scrissi». Un imperfectum metafisico, la cui cifra mistica, esondando nell’immanente emblematizzato, sacralizza nella «bibbia del non detto» la consustanzialità tra verum e incompiuto.  Il processo di trasfigurazione simbolica del reale, strereobate concettuale a sostegno della poetica ioriana, involve nelle sue dinamiche anche uno degli snodi interculturalmente più cruciali dell’umano: l’atto liminale della morte. Nei testi della silloge Lascia la tua terra – Sinfonia del congedo (Fara, 2017), tale transito tende talvolta a correlativizzarsi eliottianamente, ostendendo, nel proprio mysterium oggettivizzato, una genealogia di stirpe montaliana – «Camminare radendo i muri /a confondersi con l’ombra»; altre volte, invece, segnatamente nei versi raccolti sotto l’egida di una raffinata sinofilia, la transizione dimensionale vita-morte sublima nel vibratile elemento acquatico (stemperandosi, per estensione, nelle entità spirituali che steinerianamente la abitano) e nella sublimazione di quest’ultimo per arbores et specula nell’archetipo del doppio (o dell’ombra, junghianamente intesa): « I salici s’inchinano al fiume / l’acqua ne rimanda le ombre – Sono alberi i riflessi fluttuanti /o indizi di nuova essenza?». Un tema, quello del doppio-ombra, che torna nei recenti inediti di Iori, tanto nell’omaggio inedito a Gilberto Finzi, dove appare veicolato dal movimento ineluttabile della reductio ad nihil («Il nulla attende / vedilo che avanza […] Così vengono a essere / di luce e ombra / le cose del mondo»), quanto nei testi allegorici accordati, in virtù di tecnicismi di grande potenza evocativa, sull’ars musicalis, dove il doppio si affianca invece alla ripresa dell’eterna dialettica vita-morte, la cui sintesi soterica consiste nella comprensione della loro primigenia identità: «Il solfeggio dell’anima / ha identico destino / sempiterno essere / infinito morire / Doppio spartito / per voce singolare». (Maria Laura Valente)