Enzo Campi
I concetti sono passaggi tra cosa e cosa. Feticci e invii semantici
(uno sguardo sulla poetica di Francesca Marica)
I concetti sono passaggi tra cosa e cosa, rappresentano l’abbattimento delle soglie, l’entrata nell’indefinito, ma sono anche soste all’interno della cosa, che può essere sia prima e indefinita che ultima e definitiva, una cosa mutevole quindi e che dovrebbe resistere, lacanianamente, al simbolo e alla simbolizzazione, ma la cosa è anche il das ding freudiano, inteso come qual-cosa che si è perso o di cui non abbiamo mai avuto possesso, ed è proprio per queste ragioni che si presta a essere simbolizzata. Quel qual-cosa è l’oggetto, una volta edipico, adesso (da qualche decennio almeno) anche anti-edipico. Ma non è questo il punto cruciale. Questo è solo uno dei tanti punti che, collegati tra loro, formano la linea sulla quale transitare, sulla quale rendere fattivo il passaggio. Credo che la facoltà di creare movimento all’interno di una temporalità idealizzata siuno dei tratti distintivi della poetica di Francesca Marica. E dunque, il passaggio dei concetti dell’autrice incontra dei paesaggi le cui funzioni, per dirlo proprio con le parole dell’autrice, sono quelle di individuare “una parola assoluta e incondizionata”. Ma noi tutti sappiamo che ciò è impossibile. Un più semplice “tenere insieme i pezzi per come occorre, /per come è possibile” sarebbe più realistico, anche nella finzione poetica. In tutti i casi, i paesaggi che ci vengono dati in pasto da Marica, pur resistendo talvolta alla simbolizzazione, tendono progressivamente ad assumere la conformazione di feticci, nel senso sempre polistrutturato di un artificio, di una costruzione. Beninteso, i feticci vanno considerati in un’accezione positiva del termine, perché vengono considerati alla stregua di amuleti, ovvero: di oggetti che dovrebbero favorire una sorta di status di protezione. In tale ottica la scrittura di Marica, attraverso la mise en travail dei concetti, dona ai paesaggi lo status di feticci, per così dire, benigni, per quanto siano votati alla perdita. Se così fosse, non sarebbe cosa da sottovalutare, in quanto si tratterebbe di donare il lutto o l’idea di un lutto pressoché costante al paesaggio che si attraversa. E se donare il lutto per Marica significa rendere fattivo il passaggio, vuol dire che la sua scrittura dice molto di più di quello che cade sulla carta. Se “il giorno scaccia i naufragi della notte” e poco più avanti quello stesso giorno “scaccia le ombre della notte”, vuol dire che la fattività di quel luogo (“le dimenticanze inchiodano ai luoghi”) si deve al “giorno”, alla nuova giornata che permette un ulteriore passaggio e che Marica sintetizza nella promessa di “una neve nuova”. Il feticcio, se vogliamo, potrebbe essere identificato o, se preferite, qualificato come un significante e quindi: attraversare più paesaggi significherebbe mettere in relazione tra loro più significanti. In tal senso nella prima poesia l’interrogazione: “Come dire addio ai fantasmi e ai cani rovesciati?” entra in uno stretto rapporto semantico con la frase sospesa della chiusa: “Nel recinto dei fossili, una preda senza testa prega i figli della pioggia…”. Certo, qui si fa ricorso anche al registro simbolico, proprio perché i tre elementi (fossili, preda, figli) coadiuvati dai tre termini-oggetto (recinto, senza testa, preghiera/pioggia) oltre a evocare l’impossibilità di un addio che sia realmente efficace, aprono la porta alla loro forclusione semantica verso gli “scheletri”, “la maschera persa”, “le rovine distratte”, i “naufragi” e quella che si potrebbe definire la «medaglia verbale» dell’intera poesia: “la scommessa del sangue dove nascono le viole”.
La flessibilità della tensione (si legga intensità) all’interno del vuoto lasciato da quell’oggetto perduto o mai avuto induce Marica a organizzare o disorganizzare (ma è la stessa cosa) una catena patemica di significanti il cui compito sembrerebbe quello di incamerare i significati al loro interno per rimodellarli, ri-plasmarli, anche a costo di aggiungere nuovi feticci ai feticci originari, quelli derivanti dalla realtà o da ciò che si crede sia realtà o da ciò che diviene realtà nella finzione poetica. Ecco allora che la realtà poetica, nella finzione assoluta, supera la cosiddetta realtà reale sostituendo il feticcio imposto dalla cosa generalizzata con il feticcio partorito dalla cosa personalizzata. E allora i concetti divengono le sfumature di una sorta di cosa-maxima che determina una pressione sul corpo che viene investito dai concetti. Si presupporrebbe allora che i concetti debbano avere un peso e che il destinatario di quello che si potrebbe definire «invio semantico» debba essere, in un certo senso, pre-disposto anche allo schiacciamento. Ed è proprio ciò che talvolta avviene, ci si sente schiacciati da un peso che, anche se dissimulato in una falsa levità, esercita il suo potere prevaricante. Un verso come: “La legge del fuoco non ammette ignoranza” è emblematica in tal senso.
Come avviene ciò?
In prima battuta dando un nome alle cose e in seconda battuta giocando sull’alternanza della velocità con la quale le cose investono il referente esterno. Abbiamo appena accennato alla velocità. C’è una velocità inquadrabile nel flusso di queste tre poesie?
La velocità è tendenzialmente minima. Forse perché le singole parole, proprio perché deputate a conferire un nome alle cose, si prestano ad essere scandite. C’è come un’urgenza a imprimerle nello spazio, a fissarle come in una sorta di surplace. Pensate a una altalena in cui il punto massimo che si può raggiungere in avanti è condizionato dal ritorno all’indietro per riacquistare la spinta. Queste tre poesie vivono in uno stato di costante andirivieni proprio grazie a quest’alternanza di velocità. E non è tutto, perché Marica mette in relazione tra loro i significanti e i termini-oggetto di tutte e tre le poesie, e sulla falsariga di quel rimodellamento di cui abbiamo accennato possiamo scoprire che la promessa di neve della prima poesia, si rivela come traccia, come segnale che indica una direzione: “il muso degli animali sulla neve / è la traccia di una prima direzione”. E gli animali potrebbero essere i “cervi” o i “cani” della prima poesia, o la “lepre” della poesia di chiusura. Se dovessimo proseguire su questa falsariga, non avremmo difficoltà nel trovare “spettri” e “fantasmi” in tutte e tre le poesie, scopriremmo che la “traccia” verrà “rimossa” e non potremmo non notare quell’equivalenza semantica tra “inchiodano ai luoghi” nella prima poesia e “far combaciare la pelle ai luoghi” nella terza poesia, e che l’autrice giustifica come “il mio tentativo di aderenza”, anche se così facendo sembra voler rinunciare alla riproposizione del passaggio e alla visitazione dei paesaggi. Ma, anche se non si corre “più il rischio di un naufragio” il compito dell’autrice rimarrà quello di seguire “il bianco, anche quello /delle parole” che non sa o che non vuole dire, in modo che i passaggi tra cosa e cosa diventino paesaggi di cose in transito, ovvero figure (invii semantici) che, sebbene create intenzionalmente e quindi artificiose, trasformando la simulazione in affabulazione e ricordando Deleuze, creano una sorta di aggregazione tra immagini-percezione e immagini-affezione le quali, a loro volta non possono che generare segnali di un percorso obbligato o comunque preferenziale se si vuole giungere a quella che potremmo definire «stazione di senso». E questa stazione è l’ennesimo feticcio «benigno» che Marica dissemina nella sua scrittura polistrutturata.
Francesca Marica, poeta e artista visiva, è nata a Torino e vive a Milano. Ha vissuto e lavorato anche in Francia e Spagna, dove ha frequentato la scena poetica e teatrale. Sue poesie e prose sono apparse su Nazione Indiana, Utsanga, Anterem, Carte nel Vento, Il cucchiaio nell’orecchio, Rebstein, Argo, Poesia del Nostro Tempo, Le nature indivisibili, Avamposto, Vengodalmare, Imperfetta Ellisse, Poetarum Silva, NiedernGasse. Concordanze e approssimazioni (Il Leggio, 2019) è il suo ultimo libro in versi. Di prossima uscita, suoi due nuovi libri. Tra i più recenti riconoscimenti: la vittoria del Premio Montano XXXV edizione, sezione poesia inedita e il premio speciale del Presidente di Giuria nell’edizione 2021 del festival Bologna in Lettere sempre per la poesia inedita. Si occupa anche di traduzione. Traduce dall’inglese, dal francese e dallo spagnolo.