Premio Bologna in Lettere 2024- Note critiche e appunti di lettura – Sonia Caporossi vs Ianus Pravo

Premio Bologna in Lettere 2024

Sezione A – Opere edite

 

Ianus Pravo – Il cervo giudicato (Anterem Edizioni 2022)

 

 

 

Il cervo giudicato è il contraltare ultravisionario del cervo applaudito, opera di Leopoldo Maria Panero tradotta in italiano da Ianus in persona qualche anno fa. E in effetti, nella poesia di Ianus il vecchio amico fraterno Leopoldo è sempre sullo sfondo, hospes/hostis antiquus e immagine allo specchio della persona bifronte, o maschera nuda, che Ianus già onomasticamente rappresenta, tra i grumi di carne e di umori che intringono la sua scrittura gibbonica, piena com’è di escrescenze allucinate e devianti, picchi di altitudini dove vola la parola libera da qualsiasi confine, dissoluta quel tanto che basta per tradurre in apoteosi estatica la suprema maestria scrittoria di un rabdomante del verso che ci spalanca davanti agli occhi le proprie ferite suppurate dai batteri del tempo e ne fa poesia totale, nella purezza della propria impurezza materiale.

Nel cervo giudicato, quindi, si passa dal plauso al giudizio o, meglio, all’esame d’incoscienza che è per Ianus la scarificazione della propria anima messa a nudo sulla carta, ottenuta tramite un lavorìo indefesso che frantuma con l’estrattore la polpa succosa della parola da sorseggiare come una pozione. Anche in quest’opera, uno scioglimento alchemico del verso alimenta il decadimento radioattivo della tensione poetica a cui Ianus ci ha da lungo tempo abituati, coagulandosi come un residuato o un corpo di fondo in decadenza e rinascita, attraverso la linea scabra ed escoriata del tensore semantico che riconduce il tutto all’essenza e alla sostanza di una vera e propria opera-mondo, composta di citazioni taciute, deformazioni patenti e rimandi linguistici di natura babelica.

L’informe ricondotto a forma è, in effetti, innanzitutto linguistico, in virtù della commistione di idiomi diacronicamente attraversati da uno spaesamento radiante e prismatico, ritorti e piegati ai voleri significanti di un poeta contemporaneamente antiquus e novus, all’intento primigenio del poeta-outsider, quello stesso Ianus Pravo che già nel nome (e con la sua stessa vita) esemplifica la dicotomia straniante dell’essere un Dio (il Giano bifronte di veteroimperiale memoria) e un individuo reso abietto da whisky, caffè e sigarette. Ecco: intelligenza angelica e abiezione, teofania e perversione, iperuranio e letame, tutto Ianus rimescola nella liquida fluenza del dire orinando sulla pagina bianca del proprio genio – demone gitano, sulla pagina bisunta della propria vita/morte protesa a scandagliare il baratro del senso per potercelo raccontare, sulla pagina stracciata della propria vilipesa umanità.

Ed è proprio nell’oscenità della morte, nella vagina spalancata della madre terra che raccoglie in putrescina le transeunti scorie di un inferno eternamente vitale, di un paradiso eternamente mortale, che la poesia di Ianus si fa luce guida; luce che nutre le cartilagini affrante dall’osteomalacia su cui traballa il mondo, luce che disillumina la notte e la invita a vincere per non dover dormire, perché, pare dirci Ianus, dobbiamo restare svegli, svegli, svegli e sentire tutto, percepire il dolore della carne attraversarci tessuti e nervi fino in fondo, per riuscire infine a concepire una pur blanda cura, nella consapevolezza che il trobar clus è la via formale attraverso cui la parola grida la rabbiosa bellezza delle proprie suggestioni.

Un’estetica del senso commista alla necessità materica e carnea del dire, all’urgenza mistica e insieme depravata del versificare: questa è l’arte e l’opera infaticabile di Ianus Pravo, infinita come lo zampillare del Sole dalla fonte dell’Uno, corruttibile come la decomposizione della carcassa di quell’animale divino il cui verso semplicemente è, senz’ulteriore determinazione. (Sonia Caporossi)