Premio Bologna in Lettere 2024- Note critiche e appunti di lettura – Sonia Caporossi vs Gian Maria Annovi

Premio Bologna in Lettere 2024

Sezione A – Opere edite

 

Gian Maria Annovi – Discomparse (Nino Aragno 2023)

 

Avere nella bocca “un naufragio di voci” significa, per Gian Maria Annovi, restituire una pluristratificazione di idiomi ai millepiani che generano la coscienza collettiva della noosfera per farla parlare dai bordi slabbrati dell’indicibile. A questo fine, il poeta attua una serie di scelte scopertamente vòlte a esaltare il significato (o, per converso, la sua sospensione, il suo ammanco) per il tramite del significante: a partire dal multilinguismo, dalla pluralità dei registri e dalla coralità delle voci dialoganti. In Discomparse, i personaggi parlanti sono a volte due (come la badante straniera e l’anziana moritura in La scolta), a volte molti (come i turisti gay che si ritrovano per un accidente fortuito proprio a Sodoma e, da lì, passano in rassegna le pietre di un’ecatombe para-biblica che ha coinvolto la propria specie antropologica; oppure gli schiavi o le vittime della migrazione nella sezione Estratti, ognuno accompagnato da un’immagine che li estrae, appunto, cioè li tira fuori, dal proprio contesto di disperazione, sparizione, morte).

A volte, le lingue stesse si disarticolano fino a raggiungere l’afonia e ad esprimersi in linee sconnesse, giacché la parola sospende le proprie funzioni linguistiche disperdendo la comunicazione nell’irricevibilità, come nei “dialoghi con le guide / a gesti / in lingue ancora inesistenti” della sezione Antiscoperta dei monti, in cui si mette in scena l’esplorazione di una remota landa africana che diventa lo scandaglio dell’intima fallibilità del linguaggio come wittgensteiniana “forma di vita”. “Laddove la vita s’arradura / crescono piante / e idiomi / s’infittiscono d’attenzioni”, scrive il poeta; in quel punto semiotico sospeso, l’esploratore parla solo francese, mentre la natura antropologica della popolazione con cui interagisce durante l’escursione alla ricerca di un paesaggio che non c’è utilizza una lingua in cui la “parola” non è “mai innocente” e l’essenza toponomastica del luogo si sfilaccia in un’informe “punteggiatura di non parole”. Qui vige un sistema linguistico straniero e straniato in cui la parola “eleva un vuoto / come vuota è l’aria / del confine”, perché le montagne di Kong non esistono e non sono mai esistite, fantasmagoria di qualche avventuriero “male informato”, abisso semiotico di una realtà postveritativa che spalanca il vuoto e l’ammanco di senso del reale. In queste pagine, Annovi traduce in arzigogoli asemici la sospensione di realtà derivante dallo spaesamento: se il linguaggio, con Heidegger, è la casa dell’essere, l’ammanco di senso è la casa di quel non-essere che fa svanire i non-luoghi dalle carte topografiche. Se dire esistente un quid equivale a renderlo tale, negarlo innesca la nullificazione del dispositivo – linguaggio, che si ritrova perpetuamente in panne. Come nella pagina del Re Lear soggetta a sfocatura per scarse diottrie nella sezione che chiude la raccolta intitolata Cor, di fronte alla morte (cerebrale o linguistica) possiamo solo scandire la persistenza in vita della macchina-uomo attraverso la sequenza delle congiunzioni che rimandano al segnale acustico di un monitor cardiaco.

Il tema portante in Discomparse è, quindi, l’evanescenza, la volatilità delle figure umane, minorate e deprivate di Storia con la s maiuscola, di potere, di emersione, di voce in capitolo. Ecco perché è proprio sulle voci che l’esperimento di Annovi si concentra. Infatti, se «l’espressione implica un’intenzione di forza, coercizione, soggezione: una durata, una persistenza; una tensione, una solida, sistematica consistenza», come recita Roland Barthes in esergo nel libro, allora la coralità multiforme delle voci, così come la politropia degli stili, ridotti a unico principio, permettono la germinazione feconda e gioviale di una poetica differenziale, quella di Gian Maria Annovi, tra le più originali del panorama ultracontemporaneo, dotata com’è di un’attitudine alla fenditura, al taglio, alla scarnificazione del dettaglio umano e dis-umano che lo proietta cordialmente ben oltre la deviante etichetta cucita addosso alle cosiddette “scritture fredde”. (Sonia Caporossi)